Camillo Benso conte di Cavour fu il principale artefice dell’Unità d’Italia, il manovratore mosso dagli Inglesi affinché sorvegliasse e guidasse il burattino Giuseppe Garibaldi alla conquista del Mezzogiorno. Un Garibaldi al quale fu permesso di fare promesse impossibili da realizzare, come quella di dare la terra ai contadini, tanto Cavour e Vittorio Emanuele II sapevano già come si sarebbero sbarazzati di egli e di Mazzini, tanto che il cosiddetto “Eroe dei Due Mondi” (in realtà, se fate il suo nome in America Latina e soprattutto in Uruguay vi accorgete che lì è tutt’altro che amato) si pentì di aver fatto la via dell’Italia meridionale, come scrisse di proprio pugno nel libro I Mille.
Un servizio di Sergio Rizzo per il Corriere mette in risalto lo stato in cui versa la dimora di campagna del conte di Cavour, che si trova a Trino Vercellese, in Piemonte, un’immensa e originariamente lussuosa abitazione settecentesca all’interno di un antico borgo, che nel corso del Novecento ha subìto varie peripezie venendo acquistato a un prezzo stracciato dall’Enel per poi essere abbandonato alle macerie. Le stesse macerie sulla quale Cavour l’Italia l’aveva fondata, insomma, un piccolo regno di second’ordine soddisfatto di essere di second’ordine, per citare ciò che disse Dostoevskij dello statista piemontese.
Nel servizio Sergio Rizzo richiama alla mente la questione della Reggia di Carditello, la tenuta borbonica che pure ha attraversato momenti tragici, ma che si sta riprendendo poiché interessata da lavori di recupero, e facendo ciò il giornalista non poteva non buttare lì una frase il cui senso m’è duro: “La differenza tra Carditello, dei Borboni (pure egli cade nell’errore grammaticale di volgere al plurale un cognome, che è ‘Borbone’) e questo sito è enorme, perché lì non c’era lo Stato, c’era la camorra, qui invece lo Stato c’era ed era addirittura il proprietario”. È vero, Carditello rientrava in interessi criminali, ma cosa c’entra questo con lo stato di degrado? Se la camorra è egemone in un territorio la colpa è dello Stato che non sa esercitare la sua primaria funzione, il controllo del territorio, così come non ce l’ha a Trino Vercellese. Nel borgo piemontese invece della camorra c’era Enel, allora di proprietà esclusiva dello Stato Italiano, ma come l’Enel era uno dei bracci dell’Italia così lo era, e lo è ancora, la camorra e le mafie tutte. I diversi scandali italiani, tra cui soprattutto Mani Pulite e il caso Mattei, ci avranno pur insegnato qualcosa, è sufficiente andare a controllare i nomi e i curriculum giudiziari di chi ha fatto parte dell’azienda ricoprendo, a volte, ruoli di assoluto spicco, così come quelli di coloro che sono stati deputati, senatori, ministri, presidenti e amministratori in generale.
Alessandro Portinaro, sindaco di Trino, è giustamente rammaricato per le condizioni della tenuta, la quale è una risorsa artistica che se sfruttata a dovere può essere un’importante risorsa economica per la cittadina che governa. Il nostro augurio, in quanto amanti dell’arte e della cultura, è che riesca a recuperarla e valorizzarla, purché non diventi un mausoleo risorgimentale che celebri le menzogne dell’Unità d’Italia, imposta alle del Sud con il sangue, la distruzione e la perdita dell’identità.