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VIJAY – IL MIO AMICO INDIANO (Vijay and I)

Creato il 13 febbraio 2014 da Ussy77 @xunpugnodifilm

Vijay-poster-lowGarbarski: una commedia che sorride amaro e affronta la “morte”

Dal regista di Irina Palm giunge Vijay – Il mio amico indiano, un film agrodolce dall’impianto umano e dal travestitismo “estremo”.

Will è un attore tedesco trapiantato a New York. Tuttavia deve abbandonare ben presto i suoi sogni di gloria, indossando lo scomodo costume di un coniglio verde in uno show televisivo per bambini. Il giorno del suo quarantesimo compleanno, a causa di un equivoco, viene dato per morto in un incidente stradale. Will decide di assistere al suo funerale sotto le mentite spoglie di un elegante signore indiano di nome Vijay. E se dapprima il travestimento doveva essere provvisorio, finisce per rimanergli appiccato addosso.

Una pellicola dal tocco leggero, contraddistinta dalla (quasi) assenza di colonna sonora e da una sceneggiatura compiuta e priva di fronzoli. Tutto ciò è Vijay – Il mio amico indiano che affronta il tema difficile della morte per guardare “oltre”. E proprio come Irina Palm (donna non più giovane,  bisognosa di lavoro e costretta a fare la spogliarellista in un orrido peep show), Will (attore di origine tedesca) si reinventa dopo la sua “presunta” morte per osservarsi da lontano, per indossare una maschera e provare a rendersi accettabile agli altri (una su tutti la moglie Julia, una fantastica Patricia Arquette). E la domanda di Garbarski si sofferma proprio sul tema della maschera, sul suo significato simbolico: quante maschere è disposto a indossare un essere umano per accettarsi e farsi accettare? La risposta si trova in un finale, che mette (quasi) tutti d’accordo.

Vijay – Il mio amico indiano è una pellicola che non si perde in futili stucchevolezze, che riprende Mrs. Doubtfire, ma che non ne contiene lo stampo prettamente consumistico. Un film che guarda ai grandi autori del passato (Wilder e Lubitsch) e li rivisita in salsa contemporanea. Perché, nonostante una sceneggiatura che denota, a tratti, una certa pesantezza, la pellicola scivola via senza cadute di stile e senza puerili patetismi. E grande merito va a un regista che si ritaglia, regolarmente, uno spazio all’interno di un cinema autoriale, che scruta l’umano in modo acidamente leggero. Un regista che ha la capacità di intrattenere con stile, che disegna rapporti umani con estremo rigore ed esuberante humour british.

Uscita al cinema: 13 febbraio 2014

Voto: ***


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