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Villaggio eneolitico Su Coddu - Canelles a Selargius

Creato il 19 aprile 2012 da Alessioscalas

tripode nel sito di su codduQualche giorno fa ho visto alla periferia di Selargius un terreno recintato in cui sono presenti degli scavi archeologici. Il terreno, circondato da delle graziose villette, è oggetto di scavo dal 1994.

 

Il sito della soprintendenza riporta: "L’insediamento preistorico di Su Coddu - Canelles, menzionato dal prof. Enrico Atzeni fin dal 1980, è situato alla periferia settentrionale del comune di Selargius, nell’entroterra del golfo di Cagliari e dello stagno di Molentargius, in fase di progressiva urbanizzazione da l967.
Fu sottoposto a diverse campagne di scavo, sotto la direzione scientifica dell’allora funzionario della Soprintendenza Giovanni Ugas in seguito ad una segnalazione di materiali preistorici, rinvenuti nel corso dei lavori per la lottizzazione edilizia.
L’indagine portò ad accertare che il sito di Su Coddu aveva ospitato un vasto insediamento il cui nucleo più antico, risalente al neolitico finale (2500 a. C.) e al calcolitico iniziale (circa 2500 a. C.) , era esteso prevalentemente tra la vecchia strada comunale per Sestu (ora via Nenni) e la strada per San Giovanni di Settimo, che costeggia il rio omonimo.
Dal 1994 ad oggi interventi d’urgenza hanno messo in evidenza la presenza di altre sacche lungo la via De Gasperi e nei restanti lotti in prossimità della via Nenni. Gli scavi nel villaggio, tuttora in corso con finanziamento dell’amministrazione comunale e di privati,, continuano a restituire nuovi fondi di capanne, alcune molto complesse, con fornelli in pietra, vasi tripodi per la cottura dei cibi, strumenti di pietra e qualche rara lesina (strumento per lisciare il cuoio) in rame."

Di seguito un articolo di Marco Cabitza tratto dal sito http://www.2012magazine.eu


Nel tentativo di far luce sulla routine delle antiche popolazioni o di ottenere notizie utili, gli studiosi sono infatti spesso costretti a serpeggiare tra fogne e latrine, o ad analizzare scientificamente reperti di varia e disgustosa natura. Non a caso quello degli archeologi può essere considerato davvero un lavoro sporco… Nella campagna di scavo di “Su Coddu” (Selargius), realizzata tra il 2001 e il 2005, nell’ambito di una convenzione stipulata tra l?Università di Cagliari e la Soprintendenza Archeologica per le Province di Cagliari e Oristano sono state portate avanti attività di questo tipo. La zona di Selargius denominata Su Coddu è costituita da un rilievo appena pronunciato, situato nella periferia settentrionale della cittadina, nel retroterra dello stagno di Molentargius e dunque in diretto contatto con il golfo di Cagliari. Quando nel 1981 la zona fu sottoposta a lavori pertinenti alla lottizzazione, furono individuate alcune strutture seminterrate di pianta irregolare, interpretabili come “fondi” di un insediamento capannicolo e nel sito si intraprese una serie indagini archeologiche. Diversi furono i reperti litici e ceramici databili all?Eneolitico antico (primi secoli del III millennio a.C.) rinvenuti tra i quali spiccava una statuina di Dea Madre, l’antica divinità proto-sarda legata al culto della terra.

tripode nel sito di su coddu
Successivamente, dagli scavi più recenti realizzati nelle zone periferiche dell’antico villaggio invece, è venuta alla luce una situazione alquanto diversa dalla precedente. Le strutture seminterrate che andavano a comporre l’abitato preistorico furono già anticamente colmate da rimasugli di pasto, da resti di recipienti ceramici (tra i quali spiccano i tripodi, contenitori particolarmente adatti alla cottura del cibo e tipici di quel periodo), da residui di lavorazione dell’ossidiana e da altri strumenti da lavoro logori o danneggiati. Ma come interpretare questa serie di dati? Secondo l’opinione degli archeologi i “fondi di capanna” dell’antico villaggio furono riutilizzati come contenitori di rifiuti e il sito stesso fu trasformato in una vera e propria “discarica dell’eneolitico”, un “immondezzaio del 3000 a.C”.
Dalla terra nero – cenerina di Su Coddu spuntano quantità enormi di schegge di ossidiana e tutto un carosello di pestelli, macinelli, fusaiole, pesi da telaio e utensili di vario genere usurati dal tempo e dal lavoro dell’uomo. Sono migliaia le ossa di ovino e di altri animali, i gusci di cozze e le valve di vario tipo che emergono dallo scavo. In casi particolari esse compaiono sul fondo di ciotole, tripodi e scodelle (alcune delle quali magistralmente decorate) ridotte in frantumi.
Ma da dove si possono  trarre i migliori risultati? Proprio dai “siti più sporchi”. È dai rifiuti dell’eneolitico che affiora infatti una cultura autentica, caratterizzata in ogni suo aspetto, da quello economico a quello religioso, da quello artistico a quello organizzativo. Quella cha abitava il villaggio di Su Coddu era una popolazione di cacciatori, di pescatori, di agricoltori e allevatori, tutte attività che venivano poste sotto la tutela e la protezione di un “pantheon” di divinità proto-sarde, nate per soddisfare i bisogni elementari dell’uomo e perciò intimamente legate alla terra. Dalla ceramica si manifesta un’arte “modellata a mano”. Incisioni, graffiti che compongono geometrie regolari, sono impressioni e segni, la cui eleganza formale può, senza dubbio, essere comparata alla raffinatezza della cultura del neolitico di “Ozieri”.
Ecco perché in definitiva, lo scavo del sito di Su Coddu mette in luce oggi un importante tassello della cultura sarda e approfondisce senza dubbio le nostre conoscenze su un settore della storia che meriterebbe forse una maggiore considerazione.
Marco Cabitza




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