Nel periodo compreso tra il 1755-57 e il 1775 Luzio di Sangro, Duca di Casacalenda, diede avvio ai lavori per una delle ville vesuviane più curiose, unica nel suo genere, e riscoperta poi come una delle colonne atlantiche più rappresentative del Miglio d’Oro: la Villa Campolieto.
Il progetto e l’esecuzione architettonica furono affidati a varie eminenti autorità, tra cui Mario Gioffredi, Michelangelo Giustiniani, Luigi Vanvitelli, Carlo Vanvitelli e Pietro Lionti.
Il complesso cominciò a prendere forma intorno una pianta quadrangolare, dipartita a sua volta in quattro blocchi, continui a una galleria centrale a croce greca. Essa costava di due facciate, una anteriore rivolta verso il Vesuvio, una posteriore affacciantesi sul Golfo. Quest’ultima, la più interessante si sviluppava prima come un lungo portico coperto e circolare (con M. Gioffredi e M. Giustiniani), poi successivamente, con il Vanvitelli, rielaborato ellitticamente. “L’arioso portico circolare a colonne toscane forma un belvedere coperto, a livello del pianterreno per guardare in giro la campagna che digrada dolcemente verso il mare”, a livello del piano nobile per abbracciare l’intero skyline, secondo una prospettiva che non è più quella di scuola francese, che si affermò con Luigi XIV e Versailles, ma una di tipo nuova, più propriamente napoletana e vesuviana.
Il colonnato del portico venne riconfigurato da Luigi Vanvitelli nel tentativo di ricreare un gusto originale, duosiciliano. Esso fu inaugurato a partire dalle altezze di una fitta trama di volte a crociera, che una volta rette da imponenti colonnati, riuscissero a irregimentare scenograficamente il paesaggio circostante.
L’architetto Giustiniani proseguì grossomodo sulla falsariga del predecessore, ma, a differenza del progetto d’ispirazione gioffrediana, decise di apportare una singola modifica, e cioè allineare il corpo di fabbrica con la Strada Regia.
Stravolgimenti per il progetto capostipite seguirono, invece, in seguito all’incarico vanvitelliano, il quale rilesse scenograficamente il contesto artificiale dell’urbe e quello naturale delle foreste vergini, riorganizzando il tutto secondo un gusto vedutistico e magniloquente. Sulla Strada Regia, tutto sommato, si erge un unico blocco, balaustrato nell’attico, e dipartito in due piani. Il primo piano è caratterizzato da un alto basamento e paraste bugnate, e si incardina secondo un ordine gigante di lesene ioniche, alternato a finestre sovrastate da timpani triangolari. La facciata rispecchia tutti i canoni di simmetria, e una ideale prospettiva centrale trova il suo cuore in un’edicola al di sopra del portale d’entrata, in pesante piperno. L’androne si estende in profondità, allargandosi “sul grandioso vestibolo da cui si accede verso lo scalone che con il suo ingresso ad arco, l’unico rampante centrale e gli altri due laterali, ricorda la scenografia della reggia di Caserta” (F. Pane).
L’architettura settecentesca è un’architettura ricca di citazioni, associazioni e suggestioni arricchenti soprattutto il paesaggio. Lo scalone fa accedere a un piano nobile incredibile, costruito da un atrio irradiato in tutte le sue parti dalla luce naturale. Esso è incorniciato da due nicchie absidali, quattro finestre ovali, e una cupola senza tamburo che a mezzodì diffonde in maniera omogenea e avvolgente la luce solare, confondendo il fuori e il dentro architettonico in un’opera totale e “infinita”. Tutto si arricchisce di stucchi e decorazioni ghirlandate e a conchiglia del Cestaro e del Fischetti. Quest’ultimo sulle pareti e sulla volta del salone da pranzo affresca, in base a un gusto tipicamente vanvitelliano, il locus ameno di scenari bucolici, con amorini e cicisbei dal “tubare festante”. Cestaro segue in altri ambienti con raffigurazioni allegoriche, mentre i fratelli Magri si spendono con un tripudio di effetti trompe l’oeil che si perdono l’uno nell’altro, con prospicenze ottico-luminiche, mentali, alla Borges. Sullo sfondo del complesso, e per il tramite di una scala a chiocciola, si accede ai giardini, coloratissimi e appariscenti secondo le cronache.
Successivamente a un periodo di abbandono e degrado la Villa Campolieto è stata strappata alla sua età buia, e al suo silenzio, per essere restituita alla cittadinanza in uno stato più che ottimale. Attualmente, oltre ad essere sede di molti centri e attività culturali, è, anche, la sede della Fondazione Ente per le Ville Vesuviane.
Indirizzo: Ercolano, Corso Resina 283