“Oggi mi son dato alla pazza gioia, dedicando tutto il mio tempo a queste incomparabili bellezze. Si ha un bel dire, raccontare, dipingere; ma esse sono al di sopra di ogni descrizione; la spiaggia, il golfo, le insenature del mare, il Vesuvio, la città, i sobborghi, i castelli, le ville (…)”
Così scriveva Johann Wolfgang von Goethe nel suo viaggio in Italia tra il 1813 e il 1817. Ammaliato da Napoli, vi lasciò il cuore, tanto da proferire parole rimaste indelebili nei secoli: “vedi Napoli..e poi muori“.
Ma cosa è rimasto di quell’imparagonabile spaccato storico in cui la bellezza dei paesaggi, la cultura vivida e la maestosità delle ville attiravano turisti e giovani artisti in formazione? Di restituire la passione di questi luoghi, di protendere la memoria ritenuta da questa terra antica, di ritornare a far parlare di sé i popoli che la hanno abitata, cercheremo in questa nostra rubrica di operare. Proprio a questo proposito non potremo non cominciare da una delle ville che più testimoniano la loro grandezza passata ma, anche, il loro timore della dimenticanza e della rimozione.
La Villa Pignatelli di Montecalvo, dopo i crolli di Villa Lauro Lancellotti, di Palazzo Mascabruno, di Villa d’Elboeuf a Portici e dell’ex Fabbrica delle Funi a Calastro in Torre del Greco, costituisce, tra tutte le ville e i palazzi del Miglio d’oro, il complesso più prossimo alla scomparsa. Quest’ultima ha resistito a 250 anni di storia duosiciliana, savoiarda, fascista e repubblicana, ad eruzioni catastrofiche, a movimenti tellurici, a due guerre mondiali, a una buona varietà di epidemie e allo spopolamento postindustriale, eppure negli anni passati non è mai stata così tanto vicina come adesso al cedimento strutturale. Improvvisamente si è scoperta fragile e impotente di fronte le più comuni trame degli uomini, alle ambiguità istituzionali e ai bizantinismi burocratici campani e nazionali. Schiacciata tra uno stato nazionale privato della sua sovranità da un’Europa che non c’è e la scomparsa di una politica meridionalista di guardia al suo valore, essa è stata lasciata a se stessa, agli oscuri presagi del tempo e dell’abbandono. Non sono bastati due film di fama internazionale, un comitato cittadino, la sovrintendenza, il comune, la prefettura a smuovere le acque, per poter, finalmente, oltrepassare lo stallo della macchina giuridica e le reticenze politiche.
Cartolina d’epoca della Villa Pignatelli di Montecalvo
Edificata nel 1747 dall’architetto Sanfelice, La Villa Pignatelli di Montecalvo è da considerarsi come uno dei più rappresentativi esempi di rococò vesuviano, concertato tra reminescenze barocche romane e francesi, materiali indigeni come tufo, pietra lavica e piperno, pretese megalitiche e slanci dalla sobrietà tipicamente settecentesca. La fabbrica, ordinata da una pianta a doppia “L”, trova nella quadratura di una facciata principale, e per il tramite di un enorme portale di legno massiccio (ormai scomparso) e paraste giganti legate dal voluminoso, rigonfio, balcone del primo piano nobile, la sintesi dialettica tra tradizione e innovazione. La volta, ispirata a soluzioni ridondanti, è un’altro fenomeno di questa sintesi; essa monta fino ad oltrepassare le altezze del terrazzo panoramico, e della fabbrica stessa, senza però arrischiarsi in un tradizionalismo ottuso e retrogrado. Come un deciso e generoso mont-blanc, circondato da un ordine di 4 balconi (con sottostanti panchine in piperno) delle pareti secondarie, la Villa si incardina su più livelli. A partire da un corto basamento si sviluppano le cantine, i magazzini, i locali della servitù, la lavanderia, le cucine, la rimessa delle carrozze, le scuderie e una cappella nobile; a seguire, attraverso due rampe di scale, un salone cerimoniale e le camere reali, le quali per il tramite del terrazzo padroneggiano la visuale non solo del Golfo, ma anche di una masseria di 4 ettari (che oggi, purtroppo, è stata obliterata da una palazzina e un parcheggio auto). Scale a metà elica, cornici, capitelli e stucchi rifiniscono il complesso, che in fine si configura come un movimento elicoidale che trova il suo asse ideale nello stemma, non più riconoscibile, di Emiddio Mele (il proprietario della Villa che succedette ai Pignatelli), affrescato sulla cupola ellittica dell’atrio.
Dalla fine dell’anno 2013 a oggi, la Villa si appresta a sparire come la ricordiamo. Compromessa nella sua statica da enormi fenditure trasversali nelle mura maestre che un enorme gabbia di impalcature frenano solo temporaneamente, essa ci rimanda sempre più forzatamente a esiti apocalittici; come il galileiano dio prigioniero, sottomesso alle leggi del corso naturale, sta per ritirarsi dietro le quinte del mondo. Visto e considerato che quest’esito non dipenderà dall’inumana natura ma da un’umanità barbarica, veramente non è possibile ricorrere ai ripari? Quanto tempo ancora dovremo aspettare affinché si intervenga concretamente?
Giustamente quando un popolo muore, e cioè arriva alla fine del suo tempo, la barbarie avanza e la plebe è regina, ma prima di riscoprire un nuovo percorso di civiltà, dovremo obbligatoriamente ripartire dalle macerie, oppure ci è dato possibile sperare di poter salvare qualcosa per le generazioni future?
Villa Pignatelli di Montecalvo
Indirizzo: San Giorgio a Cremano, Largo Arso
Proprietà: multiproprietà private (visitabile gratuitamente)