A metà dell’attuale Via Roma di Ercolano, numero 43, si trova una delle Ville del Miglio d’oro meglio conservate, la Villa Signorini. Edificata nel XVIII secolo, di essa si ignora ancora il nome dell’architetto, ma, in base alle fonti storiche presenti nell’Archivio di Stato di Napoli, si è riusciti a ricostruire l’intera genealogia delle proprietà. Quest’ultima in particolare è molto interessante perché ci permette di attraversare parzialmente la gloriosa storia del passato industriale nel Mezzogiorno italiano. Dopo la prima proprietà di D. Andrea Alfano, si susseguirono le proprietà G. B. Cirella (fino al 1809), delle famiglie Gaetani dell’Aquila d’Aragona (fino al 1884), di Carlo Brancia (fino al 1911) e, soprattutto, quelle di Don Paolo Signorini, uno dei titolari della ditta conserviera Cirio.
Francesco Cirio nacque a Nizza Monferrato (Asti) nel 1836, e dal 1850 iniziò il suo importante spirito imprenditoriale, inaugurandosi al commercio ortofrutticolo nei Mercati di Porta Palazzo a Torino. L’intuizione imprenditoriale vincente nacque dall’osservazione della crescita della domanda in tutta Europa di primizie italiane fresche, soprattutto in Inghilterra e in Francia. Nella seconda metà d’Ottocento, nel giro di pochi anni, divenne il primo esportatore agricolo del Piemonte, grazie soprattutto all’applicazione industriale dell’appertizzazione (del francese Nicolas Appert), la quale risolse i problemi della deperibilità dei prodotti agricoli freschi.
A partire dal 1867 partecipò all’Esposizione Universale, ricevendo importanti riconoscimenti e avviando nuove e notevoli relazioni commerciali in tutto il Commonwealth; ma è a partire dall’unità d’Italia e dalla riconversione industriale delle maestranze esistenti nelle terre dell’Italia meridionale che la Cirio iniziò a diventare grande in tutta Europa e nel nuovo mondo. Agli inizi del Novecento alla morte di Francesco Cirio, il timone della Società Generale delle Conserve Alimentari passò al suo socio Pietro Signorini. Quest’ultimo creò il polo conserviero meridionale, ed oltre a strutturare ulteriormente le produzioni vegetali, gettò le basi per il futuro Impero dell’oro rosso, del pomodoro campano
A causa della sua prematura morte nel 1916 l’Azienda passo nelle mani sapienti di suo fratello Paolo, che oltre a consolidare il tessuto dell’agro-alimentare industriale in Italia, costruì il mito italiano della “Alta Qualità”. L’Impero dei Signorini ben presto ricoprì l’intero ciclo produttivo, dalla produzione agricola delle conserve vegetali, della carne, del pesce, della pasta, del caffè, del latte, delle marmellate, etc al cioccolato, fino agli anni ’70 del Novecento, in cui l’azienda fu ceduta alla SME e nel 1993 privatizzata.
Per quanto riguarda la Villa Signorini essa rispecchia lo stile rococò del Vaccaro e, secondo Nocerino, De Dominaci, Milizia, in base alle analogie con la Villa Caravita (oggi Maltese), si suppone essa risalga direttamente alla sua paternità, o indirettamente per il tramite di un suo allievo o estimatore.
La Villa Signorini si articola su due piani, con un ingresso con bugne in piperno, volute tardo baroccheggianti, e una chiave di volta che infrange gli statici mensoloni a sostegno dei balconi centrali in piperno. Le volute di stucco rococò inquadrano le finestre del piano terra e del primo piano. Sul balcone centrale, disposto in asse con il portale d’ingresso, si ergeva un antico stemma, recuperato solo parzialmente, e in anni recenti, in uno stupefacente ritrovamento nei sotterranei. Lievi paraste coordinano la partitura della facciata, la quale nei suoi estremi è incardinata da due terrazzini con balaustra traforati. “Lo spettacolare e sontuoso prospetto posteriore guarda verso il giardino. Il piano terreno comunica col giardino attraverso grandi archi protetti da vetrate in ferro battuto e nella parte inferiore delle coppie di paraste vi sono nicchie per le statue, mentre nella parte superiore gli ovali sono incorniciati da stucchi rococò. Sul piano nobile sorgono due corpi di fabbrica che, avanzati simmetricamente, danno sull’ampia terrazza il cui fronte interessa tutta l’ampiezza del fabbricato. la balaustra ripete lo stesso motivo del traforato dei terrazzini“.
Dal terrazzo scendono lateralmente, come in un abbraccio, due rampe di scale, le quali, come sembra dimostrare il motivo delle balaustre (differente rispetto a quello del terrazzo), risalgono a un’epoca successiva. Nelle stanze e nel salone risiedono notevoli affreschi settecenteschi, maioliche, e arredamenti in stile borbonico. Il giardino riprende le tipiche geometrie all’italiana, e pur mantenendo un’ispirazione agricola possiede suggestioni ornamentali. La parte del giardino rivolta al mare si collega alla strada con un viale centrale; mentre la parte rivolta al Vesuvio consegue una semplice simmetria con la precedente, decorata ad alloro e camelie.