Nel 2010 l’olandese Herman Koch, con La cena (Neri Pozza), aveva raggelato gli animi di lettori titubanti di fronte al nome di un autore pressoché sconosciuto: un drammatico rapporto genitori-figli raccontato con una scrittura diretta e senza freni inibitori, capace di tenere col fiato sospeso fino all’ultimo dialogo, attraverso un abile gioco di salti veloci dal presente al passato, il tutto scandito dalla successione delle portate al tavolo di un ristorante. Villetta con piscina (Neri Pozza, 2011) segna brillantemente il suo ritorno. Marc Schlosser, medico di famiglia, incarna, sotto la propria apparente metodicità catatonica, un variegato insieme di pulsioni che lentamente affiorano durante tutto il romanzo, fino a sfociare in un’azione istintiva e fatale che, più che condurre a una vera e propria conclusione, rappresenta l’inizio di una nuova fase della sua esistenza frustrata. È lui a dare voce ai propri ricordi, come un originale Zeno Cosini intento a rapportarsi con un flusso di coscienza questa volta più controllato e metodico, perché medico e paziente si ritrovano a coincidere e il racconto è influenzato dal rigore del sapere scientifico. Viene così delineata, a poco a poco, la fisionomia di tutte le altre persone coinvolte in una vicenda dapprima poco pulita, poi sempre più sporca, fino alla tragedia, e l’aggiunta di riflessioni fatte con “occhio clinico”, tanto spietate quanto spontanee, diluisce la cinica e fredda materialità del racconto. La deformazione professionale porta Marc a giudicare le azioni altrui con distaccata precisione, avvalendosi di una posizione di vantaggiosa superiorità, benché il suo status sociale sia comunque subordinato alla ricchezza spavalda di un personaggio come Ralph Meier, attore di successo che inevitabilmente scatena nel nostro dottore, già di per sé vittima di una lieve nevrosi sfociante in tante manie paranoiche, anche contrastanti sentimenti di invidia e disprezzo. L’incontro-scontro tra le famiglie dei due uomini dà, così, avvio a un intreccio dall’atmosfera salottiera come una soap opera, ma, soprattutto, adrenalinica come un thriller ben riuscito. La villetta con piscina della famiglia Meier si presenta come un eden in cui piacere e peccato pericolosamente si confondono: sotto l’apparente frivolezza delle giornate estive, l’occhio attento dell’osservatore non fatica a cogliere la finta innocenza di certi giochi o la mancata discrezione di sguardi insistenti.
Un’insana attrazione fisica condiziona inevitabilmente il contatto tra due mondi diversi: la “normale” famiglia Schlosser veste, a tratti, i panni della vittima sedotta e tratta in trappola, ma, ben presto, il lettore “neutrale” giunge all’impossibilità di stabilire una distinzione tra innocenti e colpevoli. Il sesso, oscura potenza che pervade l’ambiente, minacciando di divenire atto, determina un crescendo di sospetti e tensione: lo stesso Marc, premuroso nei confronti delle figlie, spaventato tanto dalla pubertà impacciata di un ragazzino, quanto dalla rozza virilità di un sessantenne, resta impigliato nella rete della sensualità ordita da una donna diversa dalla propria moglie. Marc, come medico, conosce la fisiologia del corpo umano, sa bene quali meccanismi mettono in moto gli ormoni, vede oggettivamente il pericolo in agguato in ogni momento. Ma come padre, il suo sguardo ha dei limiti, che è il cuore stesso a imporgli: non riconosce nella figlia maggiore, Julia, una lolita, emblema dell’annullamento del graduale passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Solo a posteriori riuscirà a cogliere una malizia non così velata in certi atteggiamenti della sua “bambina”, ma questo avverrà troppo tardi, quando certe provocazioni avranno già trovato una brutale risposta. Il medico e il padre si ritroveranno a collaborare per vendicare l’oltraggio subito da Julia: ogni uomo incontrato durante quelle vacanze sarà per Marc un possibile colpevole, ma l’odio e la rabbia ricadranno solamente sul suo antagonista, capro espiatorio di un male insanabile. Il padre, così, si vendicherà sfruttando appieno il potere conferitogli dalla professione. Significativi sono i ricordi, all’interno dei ricordi stessi, delle lezioni universitarie del prof. Aaron Herzl, che sfumano le sequenze narrative; le sue parole rimbombano nella testa di Marc così come rimbombavano, allora, nell’aula: «È stato il professor Aaron Herzl il primo a spiegarci perché l’orologio biologico degli uomini è leggermente diverso da quello delle donne: le lancette indicano la stessa ora, ma hanno significato diversi». Le sue argomentazioni soccorrono Marc quando ciò che sta tentando di ricostruire nella propria mente spinge con forza verso la ricerca di un senso, che consolidi in una sequenza ordinata di rapporti causa-effetto il dramma che la coscienza si rifiuta di rielaborare. Un novello Zeno Cosini solo in parte, dunque: è presente l’inettitudine, la non-azione del guardarsi vivere, ma non scompare la fiducia nella Medicina come istituzione incrollabile, punto di riferimento per l’uomo disperso nell’irrazionalità dei propri impulsi. Ma Italo Svevo, si sa, è stato un grande anticipatore dei tempi moderni; si può essere fiduciosi quanto si vuole, ma rimane poca speranza quando «la vita attuale è inquinata alle radici».