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Vincent e Theo

Creato il 18 settembre 2015 da Artesplorando @artesplorando
Vincent e Theo
Vincent van Gogh ha ispirato diversi film e documentari sulla sua sua travagliata e turbolenta vita, ma oggi vi voglio parlare di Vincent e Theo, film di Robert Altman del 1990 che vede nel ruolo di Van Gogh il grande Tim Roth e nel cast Jean-Pierre Cassel.
Il film narra un decennio (1880-1890) della vita del pittore olandese e di quella del fratello Théodore, mercante d'arte che tenta in tutti i modi di far apprezzare i quadri dipinti da Vincent senza però ottenere grandi risultati. Nonostante gli sforzi di Théo, il pittore muore povero e suicida nella clinica del dottor Gachet.
Theo compare nella prima scena, promettendo a Vincent, in pessime condizioni e diffidente nei suoi confronti, che lo avrebbe aiutato in ogni modo in futuro, a partire dal sostegno economico, se solo lo avesse fatto partecipe delle proprie scelte e dei propri pensieri.
Ecco così l'inizio di un'alleanza stretta e indissolubile, per la quale Vincent e Theo rimangono in continuo contatto attraverso lettere e visite, Theo cerca in ogni modo di aiutare Vincent, rappresenta per lui l'unico punto d'appoggio nel turbinare continuo degli eventi e delle passioni, e si fa complice della sua vicenda pittorica.
Diversi sono i litigi fra i due, soprattutto dovuti alle accuse di Vincent al fratello di essere troppo legato ai canoni della vita borghese, di scendere a compromessi sul lavoro e di non provare sufficientemente a vendere le sue opere. Tuttavia l'immagine che Altman ci dà di Vincent non è minimamente associabile al mondo borghese nella sua ricerca di interessi economici, quanto piuttosto a quella di un sostenitore della causa dei "ribelli" artisti d'avanguardia che, sebbene in maniera diversa, combatte per la diffusione del nuovo tipo d'arte.
E non va meglio sul piano sentimentale per Vincent. Sono continui i fallimenti sul piano sentimentale, che lo costringono ad amori fugaci e occasionali e gli negano la possibilità di una relazione duratura. Vincent vorrebbe sposarsi, avere dei bambini e una famiglia tranquilla e gioiosa. Lo dice a Sien, la donna lavandaia e prostituta con cui vive per un periodo. Ma, anche qui per il difficile carattere, le esigenze artistiche e la scelta di vita, ormai definitiva, della donna, Vincent viene lasciato e il suo progetto famigliare crolla.
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In questo disordine totale, la ricerca di una soluzione alla tempestosa vita di Vincent sembra più sentita da Theo, che dal pittore stesso. Con continui sacrifici e sforzi il fratello cerca di aiutare l'artista, e continuamente si sforza di capirlo e trovare soluzioni per lui. La vita di Theo è totalmente protratta verso il sostegno e il conforto per Vincent, ora con le lettere, ora con l'ospitalità, ora con le visite e i consigli, ora con le proposte e con i numerosi tentativi di far conoscere, apprezzare e vendere i quadri di quel fratello che tanto stima come pittore.
Il legame affettivo tra i due fratelli, particolarmente toccante, raggiunge l'apice con la scena finale, nella quale Theo piange la morte del fratello con fortissima angoscia, nudo e solo, così fuori come dentro, torturato probabilmente dalla mancanza di un caro amico che aveva sempre stimato e amato, e insieme dal senso di colpa per non aver fatto abbastanza per assicurargli quella felicità che cercava.
Il rapporto fra i due fratelli fu difficile, ma nonostante liti e incomprensioni fu sempre strettissimo, anche quando fra i due intercorrevano lunghe distanze; Theodore decise infatti di chiamare suo figlio Vincent e, una volta morto il fratello, impazzì a sua volta e non gli sopravvisse che di alcuni mesi.

Veniamo alla parte critica. Il film è tutto sommato ben riuscito e devo dire che ne consiglio la visione. Partendo da una storia tanto intensa e da un personaggio così affascinante (nel senso più morboso del termine) e complesso come Vincent Van Gogh, Altman decide di mettere in scena una rispettosissima e accuratissima biografia; la sceneggiatura è opera dell'autore televisivo inglese Julian Mitchell.
Fra i punti a favore della pellicola c'è sicuramente la scelta del protagonista: Tim Roth, adeguatamente reso biondo e con un accenno di barba, fa un'ottima riuscita, dando vita a un Van Gogh assolutamente credibile nella sua schizofrenica intensità; allo stesso modo vanno elogiate le ricostruzioni degli interni d'epoca, davvero accurate e con l'aggiunta di un utilizzo di colori scuri (e molto giallo), in affinità con i gusti del protagonista.
Fra i punti a sfavore invece non si può non citare la smisurata lunghezza del lavoro, che sfora le due ore e nemmeno di poco, attestandosi sui centoquaranta minuti di durata (ma la versione televisiva arriva a circa duecento): considerando che il lasso di tempo ricostruito dal film è solamente di una manciata di anni, probabilmente si poteva stringere di più, rendendo più fluente la storia.
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C.C.
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