Magazine Opinioni
"Serve una battaglia contro l’estremismo anticomunista di Libertini”. Era l’anno 1967, quando, durante una riunione del direttivo del PCI, Giorgio Napolitano tentava, inutilmente, di mobilitare il non più ora esistente, e tanto meno rimpianto, Partito Comunista Italiano, o almeno sedicente tale, contro un uomo corretto che i decenni successivi avrebbero dimostrato essere, alla prova dei fatti, un marxista autentico, il, lui si rimpianto, Lucio Libertini, dalla memoria marxista incontaminata e non ambigua. In effetti, se si volessero cercare, ora a posteriori, prove sugli errori tattici di lunga durata, oltre che strategici, di quel PCI che tanto ha concorso alla distruzione, ora sotto gli occhi di tutti, della sinistra italiana, l’esempio più macroscopico e inevitabile, sarebbe proprio quello della carriera politica dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e sarà necessario indagare, storicamente, più a fondo sui meccanismi in base ai quali all’interno del vertice di quella struttura fu dato sempre spazio determinante ad un personaggio che, in sostanza, prove di distanza dal marxismo ne aveva date a sufficienza in ogni circostanza; sempre con le cautele tattiche, naturalmente, di chi non ha voluto urtare più del necessario le maggioranze interne così bene inserite nel sistema consociativo del dopoguerra (il PCI votava il 90% delle leggi governative) ma che ha sempre comunque perseguito una linea chiarissima: demolire gradualmente, progressivamente, con pazienza certosina e con grande determinazione, l’identità marxista di quel PCI in cui la diversità di una base sinceramente marxista, se pur succube di un vertice che non era invece più tale (ma ci si atteneva alle leggi ferree della stalinistica disciplina di partito) era sempre più evidente rispetto a degli organi direttivi per i quali il marxismo era ormai soltanto un peso che impediva l’accesso al potere con annessi e connessi in termini di benefici personali. In questa ottica, se c’era naturalmente da allinearsi sulle posizioni filo-sovietiche che difendevano i carri armati contro l’Ungheria, il Napolitano era pronto ad allinearsi, salvo poi ritrattare tutto allorchè, da presidente della Repubblica, doveva celebrare quella insurrezione con il nuovo governo anticomunista ungherese, ma, all’interno degli organi direttivi del partito, si lavorava da parte sua seriamente di gomito sempre in funzione ideologica borghese. Non per nulla gli USA e la NATO lo avevano eletto a referente privilegiato. Ha fatto una luminosa carriera, ed il vertice è stato da lui toccato, quando ha posto la firma sulla legge sul lavoro di Matteo Renzi, quella che ha finito di distruggere i diritti dei lavoratori. Noi però lo ricordiamo soprattutto quando, ministro degli interni, a chi gli chiedeva di far luce sulle stragi di Stato e sui depistaggi, rispondeva: non sono qui per aprire armadi. Ovviamente, durante le cerimonie per le vittime di quegli anni, continuava ad augurare ai parenti di ottenere finalmente la verità su quelle stragi. Ora ha lasciato il vertice del potere. In molti ne sono contenti.
Vincenzo Cerceo
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