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Vincenzo Gasparro: Tutto è divino stasera

Da Narcyso
1 febbraio 2014

Vincenzo Gasparro, A CHE SERVONO LE ROSE, Edizioni L’Arca Felice 2012

gasparro

Ci sono versi bellissimi in questa raccolta, e sono i migliori, che inneggiano alla vita e alla struggente finitezza delle cose.

Tutto è divino stasera
e perchè mi prende la malinconia
al primo basilico sul balcone non so.

Fugacità cantata perfino nella propria lingua madre, forse l’unica in grado di spingerci talmente indietro da farci sentire nudi davanti alle cose percepite per la prima volta.

I’ passate lu basilicole
Come lu sole comu lu sole.
I’ passate pure la rose
Come li cose come li cose..
I’ passate la frasche de lore
Come l’amore come l’amore.
I’ passate a murtuscedde
Come lu viende come lu viende.

Come si vede, o si sente, la poesia vuole conservare l’impressione di un odore, di un colore, è calata nella finitezza, nel tremore delle cose che splendono e si sfaldano alla luce del nostro breve percorso. Non di rado questi versi raggiungono la bellezza assoluta della trasfigurazione.

La mamma aveva mani bellissime
come quelle di un Cristo dipinto

C’è un cantare popolare in questi versi, un’ingenuità controllata.

Quanto era piccola casa mia
ma la notte non passava
a parlare e raccontare il giorno e la vita.
Davanti alla porta mamma innaffiava
il gelsomino e la luna mi vegliava bambino.
Poi al mattino entrava tutto il sole del giardino.

Poi si scopre che questi versi sono scritti “lontano”, distanti da ciò che dicono:

In piazza Duomo De Dominicis
nella frenesia ha deposto le ossa ci attende
lo sterminio simbolico della mostruosa
Calamita Cosmica ma tutto scorre infelice
nell’apparenza del piacere sulle guglie
s’è arroccato il dolore del mondo. Com’è
triste la gente di sera a Milano nel metro.

Ed è questo un modo quanto mai necessario per dire che la poesia non arriva mai da una contemplazione statica, da un doloroso rimembrare, ma dalla voce delle immagini più forti, impresse come sigilli nella nostra vita e che chiedono un’immagine di sé, un modo per essere ancora. Così la morte passa e non può più rapire le cose custodite nelle parole.

Sebastiano Aglieco


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