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Vincitori e vinti

Da Loredana V. @lorysmart

 

Stiamo riguardando dei vecchi film, gli unici che ancora ci dicano qualcosa, a livello di trama, di interpretazione, di fotografia. Per lo più in bianconero, che esalta i chiaroscuri ed accentua la drammaticità della storia. Tra questi, “Vincitori e vinti”, film del 1961 diretto da Stanley Kramer, con un cast di eccezionale bravura.

Spencer Tracy, nella parte del giudice americano Dan Haywood, chiamato a giudicare assieme ad altri due colleghi, quattro giudici tedeschi accusati di crimini contro l’umanità per aver sostenuto ed appoggiato il Terzo Reich, alterna un’espressione di pietra quando presiede la corte penale ad un atteggiamento dolce ed umano quando si trova a contatto con altri tedeschi colpiti dalla guerra, che molto hanno sofferto sia per la perdita di beni materiali ma soprattutto per la morte di vari parenti. In tribunale anche Burt Lancaster, che impersona il principale imputato, il giudice Ernst Janning, eminente giurista conosciuto in tutto il mondo, ostenta un’espressione impassibile, tranne nel momento in cui elenca le proprie colpe in un monologo di circa 6 minuti che, da solo, vale tutto quanto il film.

Il suo avvocato, Hans Rolfe (Maximilian Schell) cerca di difenderlo, accampando principalmente la scusa che un giudice non fa le leggi, ma è tenuto semplicemente ad applicarle, anche se le leggi stesse sono palesemente inique.

Il difensore è contrastato dalla pubblica accusa, il colonnello Tad Lawson interpretato da Richard Widmark che presenta un filmato scioccante di quello che si era presentato alle truppe americane quando liberarono il campo di concentramento di Dachau, immagini tanto tremende in quanto assolutamente di repertorio. Lo stesso Lawson aveva sostenuto l’accusa anche nel processo contro il generale della Wermacht Berthold, conclusasi con la condanna a morte dell’imputato cui fu negato il plotone di esecuzione ma impiccato come un volgare criminale. Per questo motivo la sua vedova, Marlene Dietrich, lo aborre e cerca di evitarlo il più possibile, mentre invece cerca di far capire al giudice Haywood che non tutti i tedeschi fossero nazisti, e che moltissimi non erano a conoscenza dei crimini perpetrati nei confronti di ebrei, zingari, omosessuali, avversari politici e deboli mentali.

Viene portato in tribunale, a sostegno dell’accusa, un garzone di fornaio, Rudolph Peterson (Montgomery Clift), sterilizzato forse perché debole di mente, forse perché suo padre era un esponente comunista. Sempre per l’accusa, si presenta a testimoniare anche Irene Hoffmann ( Judy Garland) che conferma che il suo anziano padrone di casa ed amico di famiglia, Lehman Feldenstein, fu condannatoa morte in quanto ebreo accusato di aver contaminato la razza ariana accoppiandosi con lei, allora sedicenne, e lei stessa fu imprigionata con l’accusa di spergiuro.

Terminata l’escussione dei testi, ascoltate le arringhe della pubblica accusa e dell’avvocato difensore, la corte si ritira per deliberare. In aula molti ufficiali americani si augurano un verdetto di clemenza per opportunità politica: in quel periodo (1948) era morto il cecoslovacco Masaryk (ufficialmente suicidatosi, ma molti sospettarono di un omicidio), e la Germania poteva rivelarsi molto utile per arginare la crescente avanzata del blocco comunista.

I tre giudici in camera di consiglio vagliano tutte le deposizioni, analizzando ogni punto di vista ed uno dei tre dissente dal giudizio degli altri due colleghi.

Tornati in aula, viene letto il verdetto: gli imputati sono giudicati tutti colpevoli e condannati al carcere a vita con la motivazione che essi erano a conoscenza delle ingiustizie che venivano commesse: tre degli imputati esternano il proprio disappunto, solo Jennings resta impassibile come durante tutte le udienze.

Al momento di tornare in America, Haywood viene avvisato che Jenning vuole vederlo in carcere. Il prigioniero consegna al giudice un diario delle sentenze emesse nei processi durante il nazismo, e afferma che il suo operato va rivisto solamente nell’ambito del periodo storico nel quale si era svolto e che non era a conoscenza di quelle atrocità. Solo in quel momento Haywood, riferendosi alla sentenza Lehman Feldstein, pronuncia la frase che conclude il film: ”Dovevate capirlo la prima volta che condannaste un uomo, sapendolo innocente”. E se ne va.


Archiviato in:cinema teatro e televisione, Senza categoria Tagged: Burt Lancaster, Judy Garland, Marlene Dietrich, Maximilian Schell, Montgomery Clift, Richard Widmark, Spencer Tracy, Stanley Kramer, Vincitori e vinti

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