Se Berlusconi avesse avuto ancora una faccia da perdere, l’avrebbe persa sicuramente con la piroetta sul voto di fiducia in Senato. Ma Berlusconi da molto tempo non ha più una faccia da perdere e forse non l’ha mai avuta. La sua sconfitta è stata sancita all’interno del Pdl, ma nei confronti del governo ha dimostrato una volta di più il suo formidabile istinto di sopravvivenza, riuscendo ad allungare, con l’imprevisto voto di fiducia, la sua agonia politica che si sarebbe trasformata in morte cerebrale se si fosse spaccato il partito. Certo, l’ex cavaliere ( stando alle regole, è da considerarsi decaduto di fatto anche da questa carica, in attesa di formale ratifica) non ha più il formidabile strumento ricattatorio della sfiducia, ma rimane la sua capacità di condizionare il Pdl, grazie al suo personale patrimonio economico e di consenso.
Chi è uscito sconfitto su tutto il fronte è stato colui che aveva solo da guadagnare dalle intemperanze berlusconiane: Beppe Grillo. Il comico genovese aveva scommesso tutto sulla caduta del governo, unica possibilità per rilanciare la sua politica, capace di scaldare gli animi solo in campagna elettorale. Andare al voto col porcellum e in una situazione quantomai caotica sarebbe stata l’unica congiuntura in grado di offrire ai pentastellati una possibilità (oggettivamente remota) di guadagnarsi una maggioranza parlamentare. Ma ora si trova con un Governo Letta non più esposto ai ricatti berlusconiani; di conseguenza, con una probabilità di durare aumentata esponenzialmente.In più, i fuoriusciti hanno assunto per la prima volta risalto mediatico con un atto parlamentare ufficiale; risalto amplificato dalla reazione scomposta dei duri e puri. Questo dovrebbe portare a una distinzione più netta tra le due anime del movimento: quella utopista e giacobina dei fedeli alla linea e quella pragmatica e moderata dei dissidenti.
Ma anche per Enrico Letta il mazzo di rose della favorevole soluzione della crisi ha le sue spine. In primo luogo, Berlusconi rappresentava un alibi per il suo governo: ogni fallimento, ogni pasticcio poteva essere addebitato alla condotta vessatoria del caimano, mascherando in questo modo anche la personale inadeguatezza del premier. In secondo luogo, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, l’asse del governo, una volta risolta l’emergenza e varata la riforma elettorale, si sposterà ineluttabilmente a sinistra. La componente ex diessina, maggioritaria in Parlamento e scarsamente rappresentata al Governo, finora ha avuto le mani legate dalla presenza destabilizzatrice di Berlusconi. In una situazione che si presume di maggiore stabilità, potrà far valere il suo peso con più libertà d’azione. I problemi interni di Letta non sono con Renzi, il quale non dovrebbe tentare di far saltare il tavolo prima della primavera del 2015, specie se dovesse essere eletto segretario e dovesse organizzare il Pd a sua immagine e somiglianza.
Dulcis in fundo, colui che, a detta di tutti, ha trovato in questo sorprendente tourbillon politico il fatidico quid, ciò che fino all’altro ieri non gli era riconosciuto da nessuno, compagni e avversari di partito. Alfano ha avuto il coraggio di intestarsi una svolta epocale nel centrodestra, ma adesso dovrà andare con le sue gambe e fino ad ora, affare kazako docet, si è mosso come un elefante in una cristalleria. Non basta uno scatto d’orgoglio per trasformare un ronzino in un purosangue!
Ad ogni buon conto, lo scenario politico è diventato di colpo proteiforme. Le questioni sono tante: quanto potrà reggere il Pdl, dopo una due giorni così traumatica? Ci sarà un Cdu all’amatriciana e una destra marinata (nel senso delle figlia del caimano, omonima e omologa, in quanto figlia d’arte, di quella francese)? E in questo Cdu de noantri quanti centristi cattolici del Pd confluirebbero? E ciò favorirà la formazione di un centrosinistra finalmente senza ambiguità? E questo centrosinistra quanto riuscirebbe a recuperare del consenso passato a Grillo? Ancora una volta, e dovrebbe essere l’ultima, sarà Berlusconi a dare le carte: tutto dipende dalla sua scelta tra mantenere un canale privilegiato con un partito di governo o serrare i ranghi e piazzare la figlia alla guida di un partito sul modello del Front National francese.