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VIOLA AMARELLI- note di lettura di Narda Fattori

Creato il 09 maggio 2012 da Viadellebelledonne

VIOLA AMARELLI- note di lettura di Narda Fattori

Viola Amarelli, Le nudecrude cose e le altre faccende, L’Arcolaio

Appartata, silenziosa, al di fuori di ogni mena o bega critica, schiva nel porgersi, anche nei versi, ho incontrato Viola Amarelli sul suo ultimo libro, che ha come titolo uno spaccato della personalità dell’autrice e della personale visione che ha delle vicende della vita, censite con uno sguardo selettivo e privo di ogni forma di pathos che non fosse connaturato all’evento stesso.
In tanti, troppi forse, hanno cercato di definire la poesia, di confinarla dentro canoni o di risolverla scardinandone ogni canone; la poesia nell’ultimo scorcio del XX secolo e in questo primo decennio si è presentata multiforme come non mai, ora lirica, ora antilirica e meramente descrittiva, ora sciatta linguisticamente, ora lessicalmente raffinata, raramente sentimentale e ripiegata su se stessa.
Forse se potessi dire che la caratteristica che accomuna tante diverse nuove poetiche è la messa in mora dell’io, non più al centro dell’universo, ma cellula viva e cogitante dello stesso.
E’ ovvio , infatti, che nessuna forma di poesia può rinunciare alla visione del suo autore.
Neppure Viola Amarelli che pure allontana le cose per coglierle”nudecrude”, prive di ogni forma di abbellimento retorico e affettivo: “ …./ l’acre e il bruciore, la piaga che s’estende/ via la pelle,/ raspa il silenzio l’umido della terra.” E’ la seconda poesia del libro e probabilmente i versi precedenti parlano di una caccia con la preda vinta eppure il titolo è “salvatico”: quel raspare il silenzio è ciò che ci salva? A me la domanda è sorta spontanea. Anche perché nel libro nulla è casuale; le quattro sezioni che lo compongono tessono una ragnatela dell’esistere identitario e comunitario. L’ultima sezione è titolata “CONGEDI” quasi che tutto fosse stato detto e la buona educazione impone un congedo; qui i congedi riprendono le tematiche affrontate nel testo e , sottoforma di frammenti di prosa poetica, chiariscono se mai qualcosa fosse stato oscuro.
“ Le nudecrude cose se ne fottono o, più esattamente, restano imperturbabili. Hai voglia a ricoprirle con tappezzieri, pittori, arredatori. C’è sempre una carta vetrata, al fondo del muro, l’asse maestro. Dietro l’oceano.” ; nessuno meglio dell’autrice avrebbe potuto fornire un senso al titolo; sarei andata per tentativi, sovrapponendo la mia alla sua esperienza.
Tornando alla ripartizione del libro, che non trovo insignificante, in apertura incontriamo CONVIVENZE, miscellanea di eventi grondanti dolore , impotente ad ogni forma di ribellione perché: “…../lei vive, c’è/ vivente tutto si allarga, / la fine della guerra” ; “L’arraffa arraffa lo sporco il sangue/ la tosse si schiantano cadaveri/ e polmoni/ su queste donne all’alba/ dentro un pullman, sciupate, usate/ ombretti a sbuffi e grumi/…”: Sono necessarie “CURE”: c’è un barbaglio di bellezza, di innocenza, di piacere e se “ iustum in perpetuum vivet/ basta e avanza il cuore.”
Sono le tenui ragioni per vivere, ora che si è stati spinti fuori nell’orbe. Segue la sezione STRABISMI che coglie frammenti del paesaggio esteriore e interiore consciamente fuori dalla visuale solita, solita anche per Viola; anche il ritmo, il metro, il lessico a volte si addolcisce allontanandosi dall’asprezza delle CONVIVENZE ; tuttavia il senso del titolo della sezione dà ragione di una visione insolita, imprecisa secondo i canoni dell’esattezza comune: “ Persone con cui più nulla a vedere, liberi i loro cieli, com’è/ avviene. Lasciar andare, ai lazzi sfiorando lazzari/ perduti tra trippe e foie, analità di sogni come banale è / un sospiro trattenuto e poi di slancio espunto dal petto che la tisi ora risparmia.” Il ritmo si fa quasi prosastico, ci sono crasi potenti, abbondanza di ellissi che proprio non appartengono alla prosa; ciò significa che per l’Amarelli questi strabismi della visione e del pensiero necessitano di un surplus di parole per restare comunque chiusi nel loro povero senso e senno.
Ho già citato i CONGEDI che chiudono il libro : sono prose di grande lirismo, intime spesso e questa parola non si può usare spesso per la poesia di Viola Amarelli. Si sente una ricerca pacificata di verità, perfino il bisogno di farsi riconoscere.
Libro di non immediata gradevolezza, “Le nudecrude cose e altre faccende” già nel titolo avvertono il lettore che fosse di stomaco debole; io ho incontrate una voce originale, forte, eticamente lucida, colta e curata. Leggerlo è stato un discesa verso gli aspetti non consolanti della realtà, ma di questi sono ben avvertita e usa.

Narda Fattori

Da CONVIVENZE

(silenzi)
La folla di parole:
ottantaquattromila i grovigli tra passioni
da cui, per cui, onde
i triliardi di risuoni, resse di annata
ormai soffi d’aria sporca, fuliggine
che si attacca nei cervelli. Autistico
rimbomba nel diniego il ragazzino strambo e nei capelli
ricci genetici risalgono i ricordi
apparteneva e d’un altro mondo, sordo
e muto. Siamo vivi.

( prendi il coltello)

Prendi il coltello-bambina.
Attenta ai mostri. Ai lupi. Ad amici e parenti.
E sconosciuti.
Prendi le forbici-gioia.
C’è il male e c’è la pazzia.
Attenta a non incontrarli, per ora, ora che è
troppo presto.
Diventa tu folle, affonda le lame,
dentro più dentro dei denti.
C’è la paura e c’è l’orrore. Umano.
Carezza le bestie.
Tua madre ti ama.

(famiglie)

II pranzo sta per finite. Con i dolci. Mio padre si avventa, mia madre s’incazza . E’ Pasqua. O Natale. O una qualunque altra festa, la tavola è piena di gente che urla per farsi sentire e s’accalora sulle case, le tasse, la televisione, il petrolio, la politica, il passato e il presente. Si litiga su tutto ciò che succede. Offese da lavare col vino. Mia madre mette a tacere. Urla più di tutti. Mio padre si alza, abboffato, per preparare il caffè. Come sempre tutti contenti. Anch’io, come sempre quando non lavo i piatti.

( patrie)

Ha cambiato di lingua e di nome
e il cielo ha una linea diversa
e ci sono colline
ma non uno tra i fiori che a mazzi
le riempivano i giorni al mercato.
Entra in case stracolme di oggetti,
li pulisce,
stupita vi sia tutto quel ben di dio
cui nessuno oramai fa pili caso.
Le persone le sembrano strane,
lamentandosi stanche di rabbia
eppure non si scava patate o carbone,
ne si ammassano in fuga nei camion.
Gli uomini, quelli, più o meno gli stessi
certo non bevono tanto
ma ugualmente ci provano gratis.
Sa di essere stupida e brutta,
non importa, ha gli occhi pervinca
e sorride e insiste daccapo.
Preferisce i colori sgargianti,
tutti i fucsia e i verde del mondo,
troppi morti alle spalle,
è riuscita a portarsi suo figlio.
Fino a sera spolvera e lava
al ritorno, preparata la cena,
finalmente si spoglia,
respira, in un amen di lingua d’infanzia
a un suo dio che sicuro la ama:
le radici le hanno le piante,
donne e uomini hanno le gambe.

da CURE

( biancoviola)

Riprende corso il giorno
chiuso il frammischio
con le voglie intorno, fauci gentili
pronte a divorarti, ma la fortuna oggi
alleggerisce l’ aria
scrosci di pioggia a ripulire terra
e cieli, sola.

(eros)

Tintinnio la risata nella gola
dilaga gioiosa infra le arterie
con le dita che graffiano da gatti a leccarsi
labbra e baffi, che cattivi!
E via allungo nascondino senza fiato, il finto
inseguimento travestito da bacio fuori squadra,
dispersa l’animella sotto
i fianchi dove assemblano un alfabeto
morsi le parole che scheggiano scintille:
“mira la freccia che straborda
a poppa, prova la prua, cerca la polena, ora”
ora cerchio espanso
il sangue ora divampa su al cervello
mille i fuochi e la luce e l’esplosione
dissolvenza integrale I’urlo puro:
la nascita di un dio all’infinito.

( identità)

Io non sono petalo
no
liscio o maculato
neanche una farfalla cavolaia
no
né coda di balena o di marsina
ahimè
solo una sciocca come sono in tante
ma il gelsomino guarda e mi profuma
sì.

( altre)

Piano sciogli il dolore
il freddo acuto
ghiaccio dentro il sangue
piano, chiaro
cammina respirando
inutile il timore

il giorno ama la notte
questa perfezione.

da STRABISMI

( e me ne vado)

E me ne vado sai pei cazzi miei
quelli dei gatti e delle ortiche
e del geranio rosso un po’ sboccato,
dei cani assonnacchiati sotto il sole,
né vi conosco a meno che
non chiediate aiuto, allora
correrò rapida freccia per darvi
come posso quiete e porto.

( drogheria)

Crack fece il suo cuore
e il fumo dello spino lungo
il muro, l’eroina dei sogni da bambina
inoculava serpente nelle vene
ghiacce come strisce a
scaglie e cocaina, l’uomo che aveva amato a mille giri
gli esami e il lavoro benzedrina
tieniti su – a galla – in cima – getta il cuore
nei tour di mescalina coi demoni evocati
sfolgoranti d’oro e diamanti acidi
ai lavelli, gli ingorghi, le pasticche
gli sciroppi, buca la mente, la gravidanza,
il parto, ossitocina
e il buio fitto e brillante
della fine, povera gente
penso pensando l’infelicità
di tanti, svuota la mente,
sbocciato il gelsomino
entrò a comprare il pepe e la cannella.

g.

S’affanna, è importante
telefona, scrive
solleciti fili di ragnatela
il saggio, il racconto, la presentazione
polemiche a freddo contando i contatti,
corteggia editori, spia critici e amici
schernisce new entry e le top dei successi,
tra scambi e contratti giurie e recensioni
blandisce, recide, esibisce pulsioni,
la sera e stanchezza
però soddisfatta,
in fondo qualcuno lo chiama scrittore.

da CONGEDI

(Ie nudecrude cose)

a. Le nudecrude cose se ne fottono o, più esattamente, restano
imperturbabili. Hai voglia a ricoprirle con tappezzieri, pittori,
arredatori. C’e sempre la carta vetrata, al fonda il muro, l’asse
maestro. Dietro, l’oceano.

b. Molti, furbissimi, ne profittano occultandole a proprio uso e
consumo. I più infilano occhiali, rosa nera, ignavi. Per paura. Un
tacito patto a ignorarle finché è possibile: e possibile per poco.

c. Se immagina l’intelaiatura, lo scheletro, e di silice e di titanio.
Le nudecrude sono pietre dure, che durano, adattandosi con im-
percettibili variazioni, Lo stato dei fatti cambia continuamente,
più non le guardi, più spiazzano.

d. Hanno una loro bellezza, anche quando distorte, lesive, a volte
mortali. Non dipende da loro, sospetta, un ponte e un ponte,
come lo attraversi è un tuo problema.

e. L’armonia c’entra poco, e la compiutezza che leva il fiato,
l’esattezza millimetrica: nulla da aggiungere ne da sottrarre.
II resto, superfluo di disturbo.

f. Esplodono violentemente, sembra, quando e il memento,
quando il marciume già esonda e si vanno polverizzando le
vecchie imbracature mentre si formano le nuove. Sembrano
esplodere, invece continuano bellamente a stare lì, le stesse,
nuove di muta.

g. Sa che non la guardano. eppure l’ascoltano. Distolgono
gli occhi e si tappano le orecchie. Si è sgolata per avvertire,
inutilmente, si rifiutano. La rifiutano. Ha smesso, registra
i ritmi e i cedimenti. E un compito, a qualcosa servirà. La stanchezza.

h. Netta, tagliente. E spigolosa, un elefante tra i cristalli. Come le
nudecrude, stessa razza. Un dio malvagio la abita. Davvero,
hanno scritto cosi. Tre secoli prima un bel rogo I’avrebbero
trovato. Ora possono solo sbuffare.

i. Che qualcuno l’abbia scritta, questa proposizione sulle divinità
e la possessione e il male, le sembra strambo, ma ancor di pin che
quel qualcuno l’abbia pensata. Almeno, ha dentro un dio, che
non e poco, si consola.



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