Magazine Opinioni
Un militante di storiche associazioni legaliste - come l’Ente Nazionale Protezione Animali - che riconoscono il potere dello Stato di legiferare in materia è un militante monco, frustrato e imbrigliato; un militante dell’Animal Liberation Front che infrange le leggi è, a conti fatti, più coerente e libero nel suo agire. Il primo ha un ristretto spazio di manovra, come un animale in un recinto, mentre il secondo può concedersi di tanto in tanto qualche sortita al di fuori dei confini predisposti dalle autorità. Anche quest’ultimo però si pone dei limiti, non perché lo dica la legge scritta dei codici, ma perché glielo impone la sua coscienza: il limite e’ di solito quello di non uccidere chi uccide gli animali né di torturare coloro che torturano gli animali. A ben vedere nessuno c’impedisce d’immaginare una terza via, un diverso modus operandi, un livello più alto, quello che si verifica in tutte le guerre “civili” e che ha i suoi modelli nei partigiani e negli altri ribelli antigovernativi che giungono al punto di uccidere militari e altri funzionari del governo giudicato oppressivo e dunque nemico. Secondo le leggi della Storia, anche chi uccide gli animali potrebbe teoricamente essere ucciso da chi gli animali li difende, in base al vecchio principio giudaico dell’occhio per occhio, dente per dente. Principio che non è solo giudaico ma che si trova in tutte le culture umane basate sulle guerre e sui conflitti (praticamente tutte), ovvero sui rapporti di forza. Nel caso in questione, gli attivisti di Sea Shepherd avrebbero tutto il diritto, stabilito da secoli di storia umana, di uccidere i pescatori giapponesi che cacciano le balene. Se non lo fanno dev’essere per ragioni di opportunità politica ed anche perché, presumibilmente, contrasta con la loro coscienza di bianchi occidentali cresciuti in un contesto culturale cristiano. Oltre al fatto che, se lo facessero, andrebbero incontro a severe sanzioni da parte della magistratura giapponese. Sea Shepherd nasce come costola di Greenpeace, associazione più ambientalista che animalista, distinzione che tradotta per i profani significa che Greenpeace ha di base una visione più olistica che individualistica degli animali e, di conseguenza, dei doveri che l’uomo ha nei loro confronti. Ovvero, Greenpeace si pone come obiettivo la difesa delle specie in via d’estinzione e non tanto il singolo esemplare, un po’ come fanno tutte le associazioni di gran marchio come il WWF, la LIPU e Legambiente. I loro attivisti infatti non disdegnano il consumo di carne, cosa che può essere presa come cartina al tornasole per sapere se ci si è schierati dalla parte degli animali o da quella della natura in generale, proteggendo certe specie solo incidentalmente. Ovviamente la distinzione non è mai nitida e vi possono essere molte sfumature individuali che rendono difficile collocare il singolo attivista da una parte o dall’altra, ma quanto detto finora può essere preso come criterio generale. All’inizio, quando nacque Greenpeace, nella mente di David McTaggart, gli ideali erano netti e precisi; poi con il tempo, come avviene a molti partiti e organizzazioni, Greenpeace cominciò a dedicare piu’ sforzi ed energie alla raccolta di denaro e ai tesseramenti mentre le azioni sul campo, per esempio in difesa dei cuccioli di foca sui ghiacci del Canada, cominciarono a vedersi sempre di meno. Greenpeace oggi sembra non volersi piu’ occupare, come faceva negli anni Ottanta, di foche e balene. Da tempo ha spostato la mira sul problema dell’inquinamento legato all’impiego dell’energia nucleare e di altre attività umane rischiose per la specie umana. In un certo senso Greenpeace ha lasciato il testimone a questo nuovo gruppo, Sea Shepherd, nato nella mente di Paul Watson. Se non sbaglio, la scissione non fu indolore e per un certo periodo quest’ultimo fu considerato dagli attivisti di Greenpeace come una specie di disertore, un esaltato, un fanatico, uno da cui stare alla larga. Non sappiamo se anche Sea Shepherd farà la stessa fine delle altre associazioni, cioè se andrà incontro a un destino di appiattimento e si siederà sugli allori, ma sembra che la notizia di un abbandono della caccia alle balene da parte dei giapponesi, a causa del continuo disturbo arrecato dagli ecologisti, sia notizia vera. Di certo il caso nipponico avvalora la tesi secondo cui dai governi non ci si possono attendere vere politiche di protezione dell’ambiente - ma solo promesse fumose e ipocrite destinate a non essere mantenute - e ci porta a supporre che invece le azioni dirette, possibilmente senza spargimento di sangue umano, paghino in termini politici, cioè a volte ottengano i risultati sperati. Quella in esame e’ in vero una situazione più unica che rara. Non si era mai visto un governo, che in genere non guarda in faccia a nessuno e sputa sopra ai trattati internazionali, arrendersi di fronte alle sceneggiate di quattro anglosassoni esaltati, rappresentanti di quegli stessi anglosassoni che settanta anni fa, su suolo giapponese, sganciarono due bombe atomiche. Se a far rientrare la flotta baleniera nipponica sono state veramente le fastidiose azioni degli ecologisti, se ne può dedurre che, applicando le stesse tecniche anche in altre situazioni, si possono ottenere gli stessi risultati. Ovvero, a forza di dài e dài, persino le istituzioni più tetragone possono essere costrette a più miti consigli anche quando vi siano in gioco notevoli interessi economici come nel caso della carne di balena la quale, per stessa ammissione delle autorità nipponiche, dietro il paravento ipocrita degli studi scientifici, viene invece trattata, immessa sul mercato, cucinata nei ristoranti e mangiata da un certo numero di sedicenti buongustai, fenomeno che di scientifico non ha nulla. La peculiarita’ delle azioni eclatanti di Sea Shepherd e di A.L.F. , al di là della filosofia di base delle due organizzazioni, consiste nel fatto che i liberazionisti sono costretti ad agire di notte, per non farsi catturare subito dalla polizia e veder stroncati sul nascere i propri sforzi. Ad A.L.F. interessa sottrarre quanti più animali possibile da laboratori e allevamenti, attuando nel contempo i maggiori danni possibili alle strutture che li schiavizzano, mentre la Greenpeace delle origini e Sea Shepherd, lavorando in stretta collaborazione con stampa e televisioni, puntano di più su azioni giornalisticamente appetibili volte a sensibilizzare l’opinione pubblica e quindi devono agire di giorno, sapendo che potrebbero anche finire in prigione ed essere processati. Anche gli attivisti di A.L.F. finiscono prima o poi in prigione, senza onore e senza gloria, accompagnati sovente dalla disapprovazione sociale e tacciati di essere terroristi. Ciò dipende anche dal fatto che, mentre gli ambientalisti da battaglia scelgono obiettivi che portano in sé l’approvazione del pubblico e vengono accompagnati nelle loro imprese dalla simpatia della gente persino quando vengono arrestati, gli animalisti di A.L.F. non si preoccupano di cercare la pubblica approvazione e danno ascolto unicamente alla loro coscienza. Ciò li porta spesso a compiere azioni che susciteranno l’odio dei benpensanti, come per esempio il danneggiamento di macellerie o di stabulari e laboratori per la ricerca scientifica. I liberazionisti non se ne curano. Resta valido il principio fondamentale in base a cui se un allevamento viene preso di mira reiteratamente, alla fine, come il governo giapponese, deve dichiarare bancarotta e smettere di allevare animali. Cio’ vale più per le strutture private che per quelle pubbliche dato che queste ultime godono di finanziamenti statali pressoché illimitati. Vi sono diversi casi di successo della linea “intransigente” che hanno portato alla chiusura di numerosi lager privati, estenuati dalle numerose incursioni dell’ A.L.F., soprattutto in Gran Bretagna. Il gioco quindi pare valere la candela sul piano politico anche se parecchi attivisti sono costretti a trascorrere parte della propria giovinezza in prigione. Ma per gli animali si fa questo ed altro, se si crede in ciò che si fa. Se la coscienza è tranquilla, qualsiasi carcere può essere sopportato senza troppa fatica. Ne so qualcosa.
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