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Violentare l’italiano parte 1: «piuttosto che»

Creato il 11 maggio 2012 da Scribacchina

Piuttosto che - valore disgiuntivo

Uno dei principali difetti della vostra Scribacchina, soliti lettori, è la maniacale attenzione al lessico. Un’attenzione che va letta come amore per l’italico idioma: sì, la parola va coccolata, confortata se usata erroneamente, difesa se abusata, conservata con cura pur lasciandole la libertà di modificarsi col tempo. Perché è materia viva, la parola.

Orbene, il mio esser maniacale contempla l’inorridire di fronte a cert’usi comuni, certi intercalari, certa parlata che grammaticalmente nulla ha di corretto (per tacer della piacevolezza d’ascolto). Definisco queste situazioni «violentare la bella lingua italiana».

Ricorderete senz’altro l’agghiacciante «assolutamente sì» ch’era in bocca d’ognuno fino a qualche tempo fa; il ciel ce ne scampi, pare stia cadendo in disuso l’abitudine di rispondere con un «assolutamente sì» a qualsivoglia tipo di domande – dall’evergreen «Farà bel tempo, oggi?» al più colloquiale «Che hai, sei triste?» passando per un più formale «Signore, è vostro l’iPhone che testé vidi cader al suolo (e che oramai è tutt’una crepa)?».

Morto un papa, soliti lettori, se ne fa un altro.
Ebbene, quasi defunto l’
«assolutamente sì» di cui sopra, ecco arrivare il sostituto. Elemento fastidiosissimo, che iniziai a notare mesi fa, con certo disgusto, e che proprio qualche giorno fa in occasione d’un meeting di lavoro con taluni giovini mi venne da loro fornito in maniera tanto copiosa da strapparmi – mio malgrado – un paio d’accorate smorfie.

«Piuttosto che»: quante volte pure voi, soliti lettori, avete sentito queste due parolette provenir dalla bocca altrui?
«Diamine - mi dissi una delle prime volte ch’udii pronunziar il «piuttosto che» al posto della disgiuntiva Otutto ciò suona molto strano, all’orecchio; giurerei ch’è pure errato grammaticalmente». E difatti, alla prima occasione verificai colla puntualissima Accademia della Crusca che l’uso di «piuttosto che» con valore disgiuntivo è da aborrire al massimo grado.

La pessima usanza è cresciuta indiscriminatamente nel tempo: dai salotti tv, dalle arene politiche, dai tiggì del piccolo schermo l’orrido modo di dire s’è trasferito a giornalisti (non alla sottoscritta, sia ben chiaro), scrittori, pubblicitari, fino ad arrivare – in maniera capillare – all’uomo della strada.
Guardatevi attorno, ascoltate: troverete mamme che chiedono al piccino se per merenda gradisce
«un pane e nutella piuttosto che un gelato piuttosto che una merendina del Mulino Bianco piuttosto che quell’altro biscottino della pubblicità piuttosto che un fico secco».
Troverete manager che propongono partnership con un’azienda piuttosto che con un’altra piuttosto che con una banca piuttosto che con una compagnia d’assicurazioni piuttosto che… piuttosto che piuttosto che piuttosto che.
M
anco a dirlo, il peggio del «piuttosto che» son proprio le sfilze interminabili d’elenchi (fateci caso, senza neppure una virgola neppur nel parlato), cosa giammai vista utilizzando la semplice O disgiuntiva.

Concludendo questa piccola digressione lessicale, v’avverto: dovessi sentirvi dire: «Quest’estate sono indeciso se passare le vacanze a casa piuttosto che a Cortina piuttosto che a Ibiza piuttosto che in Sicilia piuttosto che in Finlandia piuttosto che in Cina», beh, potrei fulminarvi con una delle mie più bieche occhiate.
… Sì, solo con quella.
Che, v’aspettavate un’alternativa?
Una pedata piuttosto che uno sberleffo piuttosto che una lavata di capo piuttosto che un pubblico richiamo piuttosto che… piuttosto che piuttosto che piuttosto che? 


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