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Ricevo spesso telefonate o messaggi in chat da parte di donne vittime di violenza. Alcune mi contattano per conto dell’amica o della sorella, altre perché subiscono personalmente. Mi chiedono che fare, come comportarsi. Le indirizzo sempre verso centri antiviolenza (in genere, fornisco due o tre contatti). Poi, ascolto-leggo i loro sfoghi.
Tutte mi chiedono e si chiedono se vale la pena DENUNCIARE. Come mi è stato insegnato al corso per operatrice antiviolenza, io non cerco mai di “convincere” alla denuncia, perché deve essere libera scelta della donna vittima di violenza: lei deve arrivare a questo passo con convinzione. Però dentro di me lo penso sempre: serve la DENUNCIA.
Serve quando lui ti ha rotto il setto nasale, quando ti minaccia con un coltello, quando ti riempie di schiaffi e pugni. Serve anche quando ti dice: “ti ammazzo, prima o poi ti ammazzo”. Perché poi lo farà davvero o ci proverà, minimo.
Sì, lo so che state pensando all’ennesima vittima di femminicidio, Loredana Colucci (41 anni, di Albenga): anche lei aveva denunciato. Ed è morta ammazzata dall’ex marito: uno stalker denunciato, arrestato, scarcerato, che poi l’ha massacrata a coltellate.
Capisco quindi che venga da chiedersi: denunciare per poi essere sole e abbandonate a se stesse? Denunciare per vivere nel terrore? Denunciare per poi… morire?
Effettivamente, la denuncia sembra diventata un’ARMA A DOPPIO TAGLIO: colpisce il violento (si fa per dire) e colpisce la donna vittima di violenza. Perché lei, tramite la denuncia, si espone alla possibilità di maggior violenza, ferocia e vendetta da parte del suo persecutore. Nessuno può negarlo: è la realtà dei fatti.
Ciò detto, mi domando: allora? Non si denuncia? Si tace? Si continua a vivere nel terrore e in silenzio? Si fa il gioco del violento (che ovviamente gode della mancanza di reazione della sua vittima)? Si “copre” il proprio carnefice facendo credere a tutti che sia un “bravo marito e buon padre”?
Non pensate che lo abbiamo fatto per troppo tempo? Secoli di SILENZI delle donne, dentro mura domestiche, uniche testimoni di violenze psicologiche, sessuali, fisiche, economiche. I muri non parlano. I muri coprono alla vista. E’ difficile che l’uomo violento prenda a calci e pugni la propria moglie-compagna-fidanzata in pubblico: perché ci tiene alla “facciata”, perché ci tiene a passare per uomo corretto e dignitoso. In genere, solo in casa o comunque nascosto alla vista degli altri, compie le sue azioni violente. E il silenzio della donna poi lo aiuta. Lui agisce, lei tace. E’ la regola imposta da lui: la regola mafiosa del SILENZIO.
Siamo sicure che attuare questa “regola” imposta per secoli sia la scelta giusta?
Mi rivolgo a tutte le donne che in questi giorni lanciano campagne o scrivono articoli-post insinuando il dubbio sul valore della DENUNCIA. Per favore, non dite-scrivete “è meglio denunciare?” Non insinuate il dubbio. Non ponete la domanda (retorica). Perché sappiate che la RISPOSTA E’ UNA SOLA: SI, E’ MEGLIO DENUNCIARE, SEMPRE.
NOI DONNE SIAMO STUFE DEI SILENZI: URLIAMO, che è meglio.
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CONTATTI 4 giugno 2015: 53.300