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Virus, dalle intercettazioni emerge il grande business

Creato il 14 aprile 2014 da Informasalus @informasalus
CATEGORIE: Denuncia sanitaria , Attualità
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Virus, dalle intercettazioni emerge il grande business

Soldi, interessi, giochi di potere. Intercettati, medici e manager parlano di aviaria e provette come di un lucroso giro d'affari. E i pm indagano ancora.
Quando uno mi sta sul ... deve crepare!», diceva la virologa Ilaria Capua parlando di una ditta farmaceutica che criticava la sua invenzione, il “Diva”, la prima strategia di vaccinazione contro l’influenza aviaria. L’inchiesta dei pm di Roma in cui la veterinaria, oggi deputata di Scelta Civica, è coinvolta insieme al marito e altre 36 persone, accusati a vario titolo di associazione per delinquere, traffico di virus e corruzione, mette in risalto affari e conflitti di interessi celati dietro emergenze sanitarie e quanto l’aviaria abbia arricchito Big Pharma.
Le conversazioni registrate dai Nas dei carabinieri svelano, fra i tantissimi episodi, gli interventi di Capua sulla Intervet, filiale italiana di un colosso dei farmaci veterinari. I vertici di Intervet si erano mostrati critici sull’efficacia del sistema Diva. Ma la signora dei virus gli avrebbe fatto sapere che nell’Istituto zooprofilattico di Padova era in corso un esperimento su un vaccino prodotto da Intervet: il marchio però sarebbe stato menzionato nel suo studio solo se i responsabili della casa farmaceutica avessero assecondato le sue richieste, tra le quali quella di rivalutare il test Diva. E parlarne bene. E ai manager avrebbe fatto arrivare un messaggio chiaro attraverso un intermediario: «Lei non è una persona che si compra con quattro lire».
Il ruolo principale in questa inchiesta lo riveste Paolo Candoli, manager della multinazionale Mirial, l’uomo al quale venivano aperte le porte del ministero della Sanità per ottenere autorizzazioni. La conoscenza di Candoli con Capua è riconosciuta dalla stessa virologa che l’ha confermata a “l’Espresso”. È lui infatti il manager delegato dalla sua ditta a parlare con lei. In particolare quando la Merial è alla ricerca di ceppi virali con i quali avviare la produzione di vaccini, prima ancora di ricevere l’autorizzazione del ministero. Uno dei colleghi della virologa, Stefano Marangon, anche lui indagato, avvisa Candoli due mesi prima del varo del programma di vaccinazione. Un modo per avvantaggiarlo sulla concorrenza. «Ho parlato con la Capua, non è escluso che lei ce l’abbia, cioè sai cosa fa quella lì comunque?», dice Candoli a una collega parlando di un ceppo virale. «Sicuramente se lo fa mandare lei e poi ce lo rivende a noi». Poi aggiunge: «Purtroppo con la Capua... c’è da pensare di seguire... di dar da mangiare alla scimmia».
Il manager della Merial si rivolge alla virologa anche su indicazione di Marangon, perché lei è la responsabile del Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria e quindi è nella possibilità di sapere con certezza con quale ceppo virale si preparerà il nuovo vaccino. Nello stesso tempo è una delle poche persone che in ambito internazionale ha la possibilità di farsi inviare, in breve tempo, un ceppo virale da altri istituti «senza la prescritta autorizzazione ministeriale».
Quando i Nas arrivano nell’istituto per sequestrare un vaccino che non avrebbe avuto le carte in regola per entrare in commercio, e viene coinvolta la Capua, lei inizia a preoccuparsi dell’indagine. Il padre, stimato avvocato di Roma, le raccomanda espressamente di non fare riferimento alcuno al contratto stipulato con la Merial per lo sfruttamento del brevetto Diva. Ilaria Capua sostiene che «la vicenda dell’influenza aviaria è una storia molto complicata e anche se sono stata intercettata, le carte dimostreranno che è stato fatto tutto alla luce del sole».
Da una delle registrazioni emerge uno spaccato degli interessi in ballo. Parla alla madre della proposta di lavoro ricevuta da una fondazione della Florida e osserva che «sarebbe un problema perché la fondazione non ha finalità commerciali» mentre, al contrario, in quel periodo lei ha una parte attiva e ha «una buona attività commerciale per la vendita dei reagenti diagnostici che le consentono di guadagnare in un anno ben 700 mila euro». Per gli investigatori questa affermazione farebbe riferimento ai ricavi che Capua, insieme a Marangon e Giovanni Cattoli, stavano ottenendo dalla vendita del test Diva, per il quale è stato stipulato un contratto con le ditte Merial, Fort Dodge, e Paesi stranieri.


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