E’ una fase molto temuta da tutti coloro che amano le certezze e per questa ragione rifuggono i cambiamenti d’opinione come la peste nera. Alla diffusa repulsione all’imprevisto si aggiunge inoltre la constatazione che piu’ l’argomento e’ imponente, piu’ difficile e’ l’insorgere del dubbio. Sulle grandi certezze, unanimemente condivise, di rado si pongono delle riserve.
“Il sole sorgera’ domani mattina?” e’ un esempio su tutti.
Ci sono pero’ certezze condivise che in realta’ sono meno inevitabili del sorgere del sole. A queste presunte certezze, talvolta, e’ bene opporre un punto interrogativo se non altro perche’ non lo fa quasi nessuno. Il primo scoglio da superare e’ anche il piu’ critico perche’ dalla fase del dubbio non possono che uscire, almeno all’inizio, domande senza risposta, a ben vedere ben piu’ interessanti delle domande gia’ dotate di risposta ma frustranti agli occhi dei piu’. Partiamo dunque da alcune domande intuitive, notevoli in quanto a semplicita’, ma apparentemente prive di una risposta soddisfacente:
Di sicuro non ci vogliono fare una guerra vera perche’ una guerra vera al giorno d’oggi durerebbe cinque minuti. Forse ci devono fare guerre finte.
Quello che fa veramente trasalire gli uomini di buona volonta’ e’ che si bruciano in ogni istante quantita’ inimmaginabili di risorse naturali ed energie vitali che, indirizzate in tutt’altra maniera, rivolterebbero come un calzino la presenza dell’umanita’ sul pianeta Terra. In meglio. E non e’ una questione di soldi, i soldi non contano, i soldi si creano dal nulla. Perche’ dunque continua questo spreco insensato?
Ha tutta l’aria di una corsa che a sentire i partecipanti riunitisi secoli fa in quel di Kyoto, Tokyo, Toico, Coito o come diavolo si chiama, e’ una corsa necessaria e “controllata”. Se lo e’, mi pare controllata male.
Prendiamo coscienza di noi stessi. Noi uomini siamo un virus, un minuscolo schifosissimo virus aggrappato ad una cellula di un organismo gigantesco, tanto grande che nessuno ha la piu’ pallida idea delle sue dimensioni. Niente di eclatante, anche un virus ha il diritto di esistere e sapere d’essere un virus non intacca il nostro pavido amor proprio. Va bene, siamo una caccola di virus che ha avuto la rarissima botta di fortuna d’aver trovato una splendida cellula su cui spassarsela e che facciamo? Ne facciamo scempio. D’altronde siamo quello che siamo, virus.
Cio’ che tende a far sbroccare gli uomini di buona volonta’ e’ che da un po’ di tempo a questa parte abbiamo una grande chance e ce la stiamo lasciando scappare di mano. Se prendessimo coscienza di noi stessi, se finalmente ci decidessimo, potremmo essere il primo virus di buona volonta’ che la storia dell’universo ricordi. Anche se per scopi non sempre condivisibili, abbiamo accumulato nei secoli la tecnologia necessaria a riabilitare il nostro ruolo nell’ecosistema, a nettarci dal peccato originale; ora potremmo farlo ed invece non lo facciamo. Questo e’ disdicevole.
Fin dalla notte dei tempi ci siamo lasciati tentare, ci siamo asserviti al volere di pochi, abbiamo concesso loro di scegliere per noi. Piu’ di recente, nell’euforia del boom economico, abbiamo accettato che quei pochi difendessero il loro primato con la forza, con l’assassinio degli oppositori, di semplici attivisti e persino di qualche presidente. Abbiamo permesso ad un’oligarchia misconosciuta di ordinare ripetutamente lo sterminio di milioni e milioni di persone ignare - trovatesi per caso in mezzo ai loro giochi – ed ancor peggio l’assassinio di milioni di animali inermi e di splendidi fiori colorati.
Giorno dopo giorno abbiamo – tutti, nessuno escluso - elargito concessioni accidiose ed alienanti e continuiamo a farlo in un catastrofico processo di compromesso, assuefazione ed - in ultimo – di accettazione del male. Ci guardiamo indietro di cinque, dieci, trenta, cent’anni e non e’ cambiato nulla.
Miliardi di formiche belanti da una parte ed una manciata di padroni cazzuti dall’altra. Il loro scopo e’ quello di chi si crede un dio dell’Olimpo, il dominio dei quattro elementi: l’acqua, la terra, l’aria ed il fuoco. Per ottenerlo – non essendo dei – gli oligarchi hanno bisogno di tanta, tantissima mano d’opera che gestiscono controllando i parlamenti, i servizi segreti, le piu’ alte burocrazie, i papaveri dell’economia, il flusso delle informazioni.
La politica delle formiche diviene allora l’avanspettacolo di una democrazia di facciata che non c’e’ mai stata e forse e’ destino che resti un’utopia.
Sono pochi e cazzuti, si credono i signori del mondo, si credono dei, ma un giorno si dovranno accorgere - al piu’ - d’essere stati soltanto i despoti inadeguati di un modesto formicaio che non si meritava di meglio.
Letture sul tema:
Una posizione condivisa - Chi e’ il dottor Mengele che (la) in(o)cula (in) miliardi di cavie inermi? – Senza pastori e senza pecore – Viva l’Italia – Pronostici divergenti – Come ci estingueremo: qualche indizio for dummies – Tutto il mondo e’ paese, anzi quartiere – Un’umanita’ obesa e triste
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