Visioni

Da Naimablu
- Guarda.
- A te tutto questo sembra normale?
- Andiamo avanti.
Normale. No che non è normale, anche se Lei continua a camminare con quel suo sguardo fisso verso non so cosa. Non mi guarda mai, ma vuole che io veda. “Guarda” mi dice, come se quello che ho intorno fosse qualcosa in cui mi trovi a inciampare ogni giorno. “Sì che guardo!” mi viene da gridarle. Non lo faccio, ma, mentre lo penso, mi chiedo come faccia Lei a non rendersi conto.
“Andiamo avanti.” lo ripete ogni volta che trovo il coraggio anche solo di pensare di domandare qualcosa. Non devo aspettarmi risposte, l’ho capito da un po’. Ho lo sguardo pieno di tutto quello che c’è qui, se continuo a ingurgitare altre visioni i miei occhi vomiteranno. Perché vuole che guardi? Perché non si accontenta della mia figura spenta che la segue e del mio silenzio che non ha il coraggio di rompersi?
La prima volta che l’ho incontrata aveva un abito buio che, senza fatica, si mescolava a una cascata di capelli come tentacoli pronti a irrorare di liquido scuro chiunque si fosse avvicinato troppo. Tra Lei e me c’è sempre stata la distanza dell’istinto di conservazione che frena una curiosità troppo audace. I suoi occhi, grandi gemme del verde che preserva il cuore dei boschi più fitti, credo siano l’unica cosa che dia luce a quella macchia scura e ondosa che si muove senza tradire alcuna emozione. È sicura, lo noto da come incede in quel luogo pieno di domande senza risposte.
- Tu sai perché sei qui - ha esordito così.
- Chi sei?
- Sai chi sono.
- Dove mi trovo?
- Tu sai dove sei.
- No che non lo so!
- Guardati intorno, non riconosci nulla?
- No!
- Cosa vedi?
- Dolore, disperazione, impotenza, frustrazione, desolazione. Tutto quello che ho detto e anche quello che non riesco a dire.
- Allora sai dove sei. Hai paura?
- Non lo so. Sì, forse. Sì, ho paura.
- Lo sento.
E si è dissolta.
Da quel momento non me ne sono più liberata. Torna tutte le volte che deve ricordarmi quello che ho perso. Mi tormenta lasciandomi intuire di possedere una soluzione che non mi rivela. Non capisco il suo gioco, non capisco più nemmeno me.
- Bentornata - mi dice quando arriva.
- Sei tu che torni, non io.
- Bentrovata, allora.
- Non riesco a dire lo stesso. Dove sei stata?
- Non me ne sono mai andata.
- Quando andrai via? Via per sempre.
- Quando riscatterai ciò che hai impegnato.
- Io non ho impegnato niente.
- Sei in debito della cosa più preziosa che tu possegga.
- Cosa?
- Lo sai.
- Cosa vuoi da me?
- Niente, sei tu che dovresti volere qualcosa da te.
Neppure il tempo di un respiro ed è svanita, ancora.
Non mi abbandona mai. Che compaia o meno, i miei pensieri ormai sono un crogiolo di quelle domande che Lei lascia senza risposte e i miei occhi sono colmi di quelle visioni che dà loro in pasto tutte le volte che arriva e mi chiede di seguirla.
- Guarda - e indica una delle tante visioni.
C’è un sentiero pavimentato di fauci pronte a sbranare il temerario piede intenzionato a calpestarle, oltre il sentiero una piana d’acqua calma, invitante e un sole rosso che riscalda gli ultimi attimi di una giornata serena. Non comprendo la contraddizione di quella visione, come sempre. La piana d’acqua e il sole mi attraggono, vorrei raggiungerle, ma sono vinta dal sentiero di fameliche fauci. Desisto e volgo lo sguardo altrove.
- Guarda - insiste.
C’è una scala chiodata, gradini pieni di lance acuminate promettono di farsi ricordare dall’audace scalatore. Al termine della scala una soffice nuvola azzurra, musica lieve e una brezza leggera. Non riesco ad abituarmi alle contraddizioni. Sono stanca, il mio desiderio è quello di abbandonarmi a quel soffice giaciglio azzurro, lasciarmi cullare da quel suono e accarezzare da quel refolo di vento lieve. La scala chiodata non mi fa muovere d’un passo. Desisto, non vedo via d’uscita. Resto a guardare fino al suo prossimo…
- Guarda - non ne posso più.
C’è una strada che è un fiume di fiamme, al di là del fiume una porta blu sospesa tra nivei cirri. Oltre la soglia potrebbe esserci qualcuno in grado di rispondere alle mie domande, di rivelarmi chi sia Lei e perché io mi trovi qui. Lei continua a non guardarmi, ma si ferma.
- Hai visto? - mi chiede ancora di guardare, come se non lo avessi fatto abbastanza.
Questa volta però non sto zitta.
- Ma tu credi che sia normale? - trovo il coraggio di dirle.
- Andiamo avanti. - non si cura della mia domanda, ma io non ci sto! Non sarà come le altre volte.
- Va’ da sola, io vado altrove.
- Dove vorresti andare?
- So che oltre quella porta c’è qualcuno che mi aspetta, lo sento.
- Senti?
- Sì, sento.
- Il viale è una lingua di fuoco vivo. Hai paura?
- Sì, ma vincerò la paura.
- Perché?
- Perché hai ragione, ho qualcosa da riscattare, qualcosa che ho perso e che voglio ritrovare.
- E sia. Va’ e riprendi ciò che è tuo, ma io verrò con te.
- Fa’ come vuoi.
Il fiume di fuoco è più rovente e vorace di quel che immaginavo, avvicinarsi troppo potrebbe costarmi la vita, ma io, adesso, ho una vita? Congelo i pensieri, mi accorgo che non solo quelli sono freddi, io stessa sono un blocco di ghiaccio, porto il piede in avanti e lo affondo nel fiume rosso e giallo. Il fuoco scompare. Al suo posto c’è un viale d’erba fresca, ha il profumo che hanno tutte le cose buone. Lo percorro, Lei mi segue. Non la vedo, ma lo so. Arrivo alla porta, afferro la maniglia, faccio per spingerla in basso, ma mi fermo. Mi volto.
- Chi sei? - le chiedo.
- Guardami, non mi riconosci?
La guardo, forse per la prima volta scruto oltre la luce di quegli occhi che mi hanno sempre attratta e infastidita insieme. I suoi lunghi capelli scuri sono i miei, i suoi zigomi alti mi appartengono, le sue mani sono le stesse che intreccio nell’attesa o che distendo in una carezza, la sua bocca ora accenna un sorriso, lo stesso che disegno quando sono serena.
- Mi riconosco - è tutto ciò che riesco a dirle.
I miei occhi ora sono leggeri e affamati. Dopo aver tanto patito ricordano d’essere ingordi di qualcosa che non hanno più gustato. Hanno fame di vita, la stessa che ho impegnato in un giorno che non ricordo e che ho perso insieme a tutto quello che ho pensato di non poter più sentire. Le braccia scivolano lungo i fianchi, come alla fine di una grande fatica, ma non sono stanca. Se potessi correre a perdifiato controvento so che lo farei, so che farei questo e tutto quello che ho dimenticato di voler fare, ma sono come nel bel mezzo di un incanto e non faccio che guardare Lei, che guardare me. Continua a sorridere, rompe l’incanto prendendomi per mano e mi accompagna al limite della soglia. Chiude la porta. Apro gli occhi.

The victory, Magritte

[Grazie a Sario per aver regalato una soundtrack a questo viaggio]

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