Il futuro di Seedorf e dei senatori è ancora un rebus
La bella e soddisfacente vittoria nel derby e il riscatto di mister Allegri – unito a quello di taluni cosiddetti senatori – non deve in alcun modo influenzare quelle scelte che andavano fatte a priori e che sicuramente non possono essere evitate o rinviate a posteriori, nonostante il clima di gioia e di esaltazione del momento.
Vado subito al nocciolo del problema, senza girarci troppo intorno: il futuro di Clarence Seedorf. Nessuno può negare la buona prova dell’olandese nella stracittadina, soprattutto perché schierato in un ruolo – che poi è quello di Pirlo – più compatibile con le sue attuali condizioni fisiche. Arrivo, forzandomi, addirittura a dire che nessuno può negare il naturale talento del nostro numero 10, capace di inventare – di tanto in tanto – ottime giocate e grandi assist. Ma allo stesso modo non si può nascondere l’evidenza di una carta di identità che segna 35 primavere e uno stato di forma che definire altalenante è eufemistico. Come sarebbe assurdo – per un derby ben giocato – dimenticarsi in fretta del peso e del carisma che Seedorf esercita nello spogliatoio milanista e nei confronti del tecnico di turno.
La decisione più saggia, quindi, sarebbe quella di tenere duro e non rinnovare il contratto all’olandese – che invece secondo i più informati starebbe facendo pressioni per restare – anche in considerazione del fatto che Seedorf, nella rosa 2011-2012, sarebbe comunque una riserva, seppur di lusso. E in quel caso molto più proficuo sarebbe scommettere su un giovane, magari pescato in qualche cantera, se non addirittura nella nostra.
Capitolo Pirlo. Qui la questione è più complessa perché se è vero che Pirlo è a tutti gli effetti un senatore, logorato da mille battaglie, è altrettanto vero che trattasi di un giocatore ancora relativamente giovane (32 anni ancora da compiere) e di un raro talento. Confermare Pirlo significherebbe riconsegnargli, almeno per due o tre anni, le chiavi del nostro centrocampo. Chiavi che sarebbero comunque – al netto degli eventuali infortuni o malanni – in ottime mani. Se invece la società decidesse di liberarsene bisogna capire chi sarebbe l’alternativa. Se la cessione di Pirlo venisse compensata dall’arrivo di un giovane dal sicuro talento (dico Ganso, ma solo perché è il nome più pronunciato in questo periodo, ma non è il solo sul mercato) allora ben venga. Se al contrario Pirlo venisse rimpiazzato da un giocatore mediocre o da un pari età tanto varrebbe tenerlo, spuntando magari un buon accordo per il rinnovo.
Detto che Gattuso, Zambrotta e Oddo hanno ancora un anno di contratto e che con tutta probabilità resteranno – salvo scelte autonome dei giocatori – e dando per scontato l’addio a Jankuloski e le riconferme di Nesta e Inzaghi, resta da capire che ne sarà di Ambrosini. Certo, è il capitano e se fisicamente a posto può ancora fare la differenza. Ma con tutta probabilità anche in questo caso sarebbe auspicabile. L’età è quella che è (34) e il fisico pure. Quella del divorzio sarebbe quindi una scelta sentimentalmente dolorosa, da compensare con un investimento su un giovane di prosettiva, magari da far crescere all’ombra di Van Bommel, che stando alle ultime dovrebbe spuntare un rinnovo annuale.
Serve una svolta, insomma. Una svolta improrogabile, e che non può essere messa in discussione dall’eventuale vittoria del campionato. Una svolta radicale, un taglio con il passato che avremmo dovuto fare anni fa ma che per una ragione o per l’altra abbiamo sempre rimandato.
Chi sostiene la causa dei senatori usa come argomento la riconoscenza. Beh, i risultati dell’Inter, che ha uno spogliatoio completamente in balia dei senatori – che hanno deciso l’esonero di un ottimo tecnico come Benitez – dimostrano che la riconoscenza è un sentimento nobile ma non applicabile, nel calcio, su scala industriale. Essere riconoscenti verso un singolo giocatore ci può stare – vedi il caso di Inzaghi – ma pensare, per riconoscenza, di rinnovare in blocco una squadra di trentacinquenni sarebbe irresponsabile, costoso e controproducente.
In taluni momenti storici di un club calcistico blasonato come il Milan occorre che chi ha la responsabilità di gestirlo faccia delle scelte. Scelte magari dolorose, magari nette, ma che vanno portate avanti con decisione per il bene della squadra stessa. Il medico pietoso, si dice, non è quello che cura bene il proprio paziente.
Allo stesso modo un presidente o un amministratore delegato che si facesse condizionare da prestazioni sporadiche, pianti e camarille, non farebbe l’interesse della squadra ma soltanto di quei giocatori che, legittimamente, sperano di tirare avanti ancora un altro anno o due nel club più titolato al mondo.