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Visti per voi (N°12) - POISON- Recensione "Bronson"

Creato il 21 dicembre 2015 da Giuseppe Armellini
Dopo 8 mesi torna la rubrica Visti per Voi, ovvero lo spazio in cui recensisco, uno a testa, dei film che voi mi avete consigliato/obbligato a vedere.
Qui trovate tutte le scorse puntate e le richieste in corso.
Se non vedete il vostro nome o volete cambiare film commentate qua sotto.
Oggi è il turno di Poison, autodefinitasi "cialtrona" del cinema. In realtà nel suo blog molto di tendenza "Viaggiando (meno) " lei, oltre ai propri viaggi, recensisce i film molto molto bene. Però, sì, ecco, raramente la vedrete partire con pipponi interpretativi come i miei, lei recensisce come fosse una casalinga colta, intelligente e capace di scrivere molto bene.
Questo suo Visto per Lei in realtà l'ha un pò "sprecato" visto che io Bronson avevo sempre voluto vederlo comunque.
Insomma, chiedete cose che non vedrei, che non conosco o che proprio ci tenete a veder recensite.
Come dissi da qualche parte e in qualche tempo non sono un amante del biopic.
Ma proprio per niente eh.
Così come, espandendo il campo dalla singola persona ad un intero periodo, non mi piacciono, generalmente, gli storici.
Eppure quando le storie sono originali e piccole (vedi il magnifico Foxcatcher) o quando i personaggi raccontati non sono grandi personaggi che conoscono tutti ma quasi sconosciuti esponenti di questo circo Barnum che è l'umanità (vedi cose alla Man on the moon ad esempio) allora sì, allora io ci sono.
Anche se, e Bronson ne è solo la conferma, queste storie vivono nel paradosso di "dover" essere raccontate per quanto sono particolari ma, al tempo stesso, qualsiasi sforzo tu farai nel raccontarle non potrai mai raggiungere l'incredibile potenza e cinematografia di quella vita vera.
Charles Bronson, non il giustiziere della notte, ma una testa bollente inglese che quel nome ha voluto prendere in prestito, è una persona non solo realmente esistita ma realmente esistente.
E non solo ha passato 30 anni in isolamento, non solo fu considerato il più violento carcerato britannico ma, a 7 anni dall'uscita del film, è ancora nelle patrie galere inglesi e di bronsonate ne ha fatte molte di più, dal diventare islamico cambiando pure nome al pubblicare libri di fitness da galera.
Perchè Bronson è grosso, grosso grosso. E ha due baffetti simpaticissimi.
Bronson, quello vero, è questo.
E per interpretare sto simpaticissimo personaggio, uno che più volte ha spaccato facce che pulito la sua, serviva uno grosso come attore.
E quello grosso era uno che in quel momento, 2008, non era praticamente nessuno ma che proprio da quello stesso momento inizierà a farsi apprezzare in maniera così dirompente da diventare ben presto, almeno a Hollywood -ma non solo- uno dei più grandi attori del pianeta.
Il suo nome è Tom Hardy, classe 77, come quella dell'altro fuoriclasse moderno, Fassbender.
E come la mia... (lo dico con orgoglio e vergogna insieme).
E se Bronson è stato il lancio definitivo di Tom Hardy lo è stato, forse, anche per il suo regista, quel Refn già conosciuto tra gli appassionati per la trilogia Pusher ma non ancora uscito da quella nicchia.
Posso dire di conoscere il regista danese abbastanza bene ormai.
E tutti e 4 i film che ho visto raccontano di un mondo che vede la violenza come stato di natura, come unico metodo per difendersi dal mondo oppure unico per venirne fuori.
Dalla violenza ancestrale e trascendentale di Valhalla Rising a quella improvvisa ma profondamente connaturata a sè di Drive, tutti i personaggi refniani sembrano pugili nudi (anche letteralmente) nel grande ring della vita.
Ma tutti in qualche modo sembrano possedere un'etica, un limite ed essere individui ANCHE portati al bene, se solo ne avessero la possibilità, il coraggio o la forza.
Lo è anche Bronson, un delinquente indifendibile sì, ma uno che alla fine, anche per culo, non ha mai ucciso nessuno e mai, ad esempio, picchiato una donna (e questo è un punto per quanto mi riguarda di discriminante fortissima a suo favore, che apre un mondo di considerazioni volendo).
Anzi, uno persino impacciato con l'altro sesso, uno che trema se una le si siede sulle ginocchia o balbetta trovando il coraggio di un ti amo.
Sì, però per il resto è praticamente un juke box di pugni nel quale non devi manco inserire il gettone,
Vanesio all'inverosimile, talmente tanto che più la vita gli va male e fa cazzate, più crede che quel male sia un'etichetta di pregio per sè.
Bronson è un uomo che la vita quasi manco l'ha vissuta, chiuso in 30 anni di isolamento.
Refn coglie questo lato narcisista e lo porta all'estremo immaginandosi un Bronson che, a teatro, in modo autoglorificante e istrionico racconta tutte le sue malefatte.
E' un'idea geniale sì, ma che più il film va avanti più pare un contrappunto abbastanza forzato e quasi noioso.
Io avrei preferito limitare quest'intuizione alla sola cornice, prologo ed epilogo.
Non è questo il solo, per me, unico difetto di un film che comunque, come mi ha detto qualcuno "Beh, zitto zitto si è fatto guardare tutto".
Perchè quello più grande, credo, sia in un'opera troppo ripetitiva, troppo uguale a sè stessa, un susseguirsi sempre di stesse dinamiche (scazzottate, ostaggi, mattate, nuove carceri) che creano un loop che, oltre ad attorcigliarsi su sè stesso, procede anche orizzontalmente.
La violenza, presente praticamente nel 90% delle scene, risulta depotenziata da un'atmosfera grottesca, ironica, iperreale, anche per regia, montaggio e fotografia.
A volte mi è tornato in mente Natural Born Killers ad esempio.
Niente a che vedere con le 2,3 scene impressionanti di Drive e anche con alcune del meno riuscito Solo Dio perdona.
Colonna sonora refniana come poche (in un paio di scene musica e violenza mi hanno riportato ad Arancia Meccanica), regia che si alterna tra il classica e lo sperimentale, montaggio abbastanza lineare temporalmente ma pieno di inserti.
Ottima tutta la parte nel manicomio criminale e visivamente potentissima tutta quella sull'ultima presa d'ostaggio, l'insegnante d'arte.
La scena finale è, credo, quella (dis)umanamente più forte.
In definitiva, anche se forse dalla rece non s'è capito, un (gran?) bel film su un uomo cattivissimo che forse poteva anche non diventarlo.
Certo, almeno nella trasposizione filmica, non può essere solo cattivo uno che ha gli occhi di Tom Hardy, quegli occhi che più li guardi più sembrano essere appendice di un'anima grande

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