Alcune settimane fa mi chiama una mia amica, B.
«Ciao Ale, come va? Quando riusciamo a vederci a Milano? Ho un paio di sorprese per te.»
Brutta parola, “sorpresa”. Ha su di me lo stesso effetto di una scatola di croccantini su di un cane. Se poi è pure al plurale son cazzi.
Ci ritroviamo qualche giorno più tardi in università. B estrae dalla borsa un’ascia vorpal due plichi e me li passa. Sono copie d’anteprima, di quelle che le CE mandano alle librerie per promuovere i propri volumi. Nessuna rilegatura: solo pagine grezze trasudanti ognuna la propria storia. Prendo in mano la prima. La bocca si piega in un sorriso. Si tratta della versione italiana di The last Wish di Andrzej Sapkowski. Comincio a sfogliarla. Come mi fa notare anche B, la struttura del libro sembra più quella di un romanzo che di una raccolta di racconti (quale è). Dentro di me spero in una modifica della grafica. Così è stato, a quanto ho sentito da altri/e librai/e che hanno ricevuto la versione definitiva. Poi mi ricordo dell’altro libro; e qui il sorriso si fa pieno.
Tento una prova di diplomazia su B, ma i dadi non mi sono favorevoli. Lo sapevo che dovevo potenziare il Carisma invece della Costituzione all’ultimo cambio di livello. Certo, c’è stato di peggio. Come quella volta in cui un mio compagno di party, un dragonide devoto al dio sbagliato (Bahamut; ma dico, come si fa a votarsi a uno come Bahamut?), tentò una prova analoga su un cucciolo di drago. Mezza giornata fermi a guardarlo chiacchierare con quell’essere, per poi scoprire che il bastardo non possedeva capacità intellettive.
Fatto sta che vedo B ritirare i fogli nella borsa.
˜
Passa qualche giorno e mi ritrovo ancora in quel di Milano con B. Questa volta al telefono non abbiamo parlato di sorprese; eppure la vedo infilare di nuovo la mano nella borsa. Non so perché, ma in quegli istanti ho come l’impressione che la realtà rallenti la sua andatura e che da dentro la borsa fuoriesca una luce dorata, mentre tutt’attorno cori angelici intonano note da baritono; molto probabilmente non ho digerito bene la colazione al volo a base di Smarties (lo so, sono una fogna irrecuperabile).
Dal fondo della borsa emerge un libro che B fa subito scivolare sul tavolo verso di me, manco fossimo al Coyote Ugly. La mia espressione cambia dall’incredulo all’entusiastico e poi di nuovo all’incredulo. Qualcuno mi passa di fianco, mi guarda e infine si allontana, scuotendo la testa sconsolato.
«È arrivato giusto ieri» mi fa B.
Alzo gli occhi dal libro. La mia espressione ha acquisito una Pucciosità di livello epico. Hamtaro, Mortino e il Gatto con gli Stivali di Shrek messi in insieme mi fanno una sega.
B sospira. «Va bene, puoi tenerlo. Tanto quella è praticamente la mia copia personale.»
Dentro di me la squadra addetta alla sala cervello esulta come dopo il raggiungimento dell’orgasmo.
˜
Più tardi arrivo in stazione.
Va detto che il sottoscritto non è un gran lettore da viaggio, soprattutto quando si parla di treni. Non so perché, ma mi causano sempre attacchi di narcolessia; e non è bello quando l’ultima fermata della tua linea si trova sul confine di Stato. Senza contare che sono pure un lettore lento e tendente alla distrazione, figuriamoci in posti affollati come i mezzi di trasporto. Insomma, in condizioni ideali è già tanto se leggo intorno alle 30 pagine in un’ora. Eppure quel giorno la curiosità è troppa. Recupero il libro dalla borsa a tracolla.
Comincio a leggere.
Finisce che per poco non salto la mia stazione; ma non perché mi sia addormentato. Mi accorgo del tempo passato solo quando butto l’occhio sul numero della pagina raggiunta: 56. Subito guardo fuori dal finestrino, temendo di vedere l’Isola dei Pescatori sullo sfondo. E invece scopro che manca ancora una stazione. È passata appena un’ora di viaggio.
In quel momento decido che quel libro merita una recensione.
˜
Nei giorni successivi procedo più lentamente. Voglio godermi a fondo ogni singola riga. Comincio anche a prendere appunti, mentre nella testa frullano mille domande che mi piacerebbe porre all’autore. Chissà che non ci scappi anche un’intervista? Nel frattempo finisco di leggere due romanzi iniziati precedentemente, King rat di Mieville e La compagnia del corvo di James Barclay; illuminante il primo, mediocre il secondo.
Penso alla possibilità di far uscire la recensione in contemporanea con il libro, ma alla fine mi rispondo con un sonante “chissenefrega”. Non voglio scrivere un pezzo simile a una certa recensione, nata da una lettura frettolosa (7 ore per più di 800 pagine!) e difatti piena di contraddizioni notate da alcuni lettori già prima della scoperta delle tempistiche. No, qua ci vuole calma, attenzione. Perché l’opera non è facile, tutt’altro. Dovrò fare delle scelte, anche “drammatiche”, su quali punti concentrare la mia attenzione, altrimenti ci scappa un saggio.
Nel frattempo, questa mattina, prima di andare al lavoro, sono andato a comprarmi la mia copia personale. Perché il libro merita davvero, credetemi. E ora scusate, ma ho un ultimo capitolo da leggere.
PS: Se vi chiedete di quale stramaledettissimo libro abbia fin qui parlato, vi basta far scendere l’occhio di qualche centimetro.
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