A causa di un incidente il giovane studente Hiroshi perde due cose: la memoria e la sua fidanzata Ryoko. Aiutato dai genitori durante la riabilitazione torna a frequentare la facoltà di medicina ed il corso di anatomia. Compito del quadrimestre è quello di sezionare un cadavere, ironia della sorte a Hiroshi toccherà proprio il corpo della sua ragazza.
Quanto inaspettato lirismo da parte di Tsukamoto!
Allontanandosi dalle coste frastagliate e metalliche del cinema che lo contraddistingue, il regista si avvicina alla poesia ascetica di alcuni suoi colleghi dagli occhi a mandorla. Già col finale di A Snake of June (2002) aveva dimostrato di come ci possa essere una nuova speranza aldilà e aldiquà dello schermo, con Vital (2004) si ripete su questa lunghezza d’onda. È bene però mettere subito in chiaro le cose: qui non si raccontano banalità. Sebbene lo stile di Tsukamoto sia meno spigoloso, i suoi contenuti sono, come sempre, uno dei migliori concimi cinematografici per far nascere congetture dentro di noi.
La scelta cromatica di abbandonare il bianco e nero (ma non del tutto) fa di Vital un film che sublima, che assurge, che in qualche modo si eleva. Questo perché il b/n di Tsukamoto a differenza dell’eleganza bicolore di un Tarr o di un Haneke, è sporco, marcio, arzigogolato, che porta fastidio che trasmigra dolore. Tuttavia vedere a colori e linee geometriche il catatonico protagonista smembrare il cadavere della sua ex amata – e quindi compiere un azione pur sempre fastidiosa e dolorosa – non sfiorerà minimamente il vostro campanello dell’allarme sensibilità/disgusto, per volare più alto di qualunque bassezza ponderabile, centrando in pieno il bersaglio dei sentimenti, e perciò innalzarsi automaticamente.
La sotterranea efficacia della pellicola affonda come il bisturi di Hiroshi nella pelle di Ryoko.
Un uomo che ha amato è costretto a dissezionare l’oggetto del suo amore per poter ricordare; a questa vera e propria decostruzione fisica si affianca la riedificazione della memoria attraverso i luoghi immaginari molto kimkidukkiani nei quali Ryoko si mette a danzare nell’aria in una musicalità che resta, appunto, solo in un territorio chimerico. Forse quella è l’anima danzante, la stessa che Herzog ha cercato più volte di raccontare nei suoi film.
L’anima.
Delle molte recensioni su Vital più o meno tutte rimarcano questa ricerca dell’anima da parte dello studente. Non lo so, io ci ho visto dell’altro, di più viscerale e terreno. Una totale immersione nella vita per capire le cause di una morte. Non è “una caccia” all’anima di Ryoko, almeno non soltanto, perché ad essersi smarrito è prima di tutto Hiroshi, ed è qualcosa di struggente il fatto che per ricomporre se stesso con i suoi ricordi e le sue emozioni debba “scomporre” ciò che più teneva al mondo ma che non riesce a ricordare.
E l’ultima ripresa in soggettiva intensifica allo spasimo quel sapore dolceamaro che permea la pellicola tutta.
Ormai mi sono quasi stufato di parlar bene di Tsukamoto: è un grande, punto.