Non c'è più Vittorio Rieser. Non c'è più un intellettuale che aveva posto il suo sapere, il suo cervello, a disposizione degli operai, più che degli accademici. Ha lasciato studi, inchieste soprattutto, riflessioni. Molti lo ricordano oggi per il suo lavoro, accanto a Renato Panzieri, nella costruzione dei "Quaderni Rossi", negli anni 60, con personaggi come Mario Tronti, Massimo Cacciari, Vittorio Foa, Gianni Alasia, Sergio Garavini, Emilio Pugno. Era figlio di un ebreo polacco comunista e la mamma era stata responsabile del partito clandestino comunista di Grosseto e per questo condannata a un anno di carcere dal Tribunale speciale. Vittorio aveva mosso i suoi primi passi politici sposando la causa allora minoritaria dei "titoisti" di Valdo Magnani, probabilmente attirato dalle esperienze di "autogestione" allora care al "comandante Tito". Poi era passato dalla sinistra socialista, ad Avanguardia Operaia, a Rifondazione Comunista. Io lo ricordo intento, qualche anno fa, a collaborare a un libro-inchiesta sul "lavoro che cambia" accanto a Cesare Damiano, Aris Accornero, Mimmo Carrieri, Igor Piotto. Ora prestava la sua preziosa opera all'Ires Cgil di Torino. Fra i suoi ultimi libri:" Lavorare a Melfi: inchiesta operaia nella fabbrica integrata Fiat". Un operaio della Fiat che lo conosceva bene, Gianni Marchetto, ha ricordato lunghe discussioni con lui sul binomio "più democrazia-più produttività". Una pubblicazione on line "Lavoro e politica", ha ripubblicato un suo articolo del 2012 in cui ipotizzava un processo capace di costruire una forza politica organizzata partendo dai movimenti di lotta e mirando a un "progetto complessivo di trasformazione della società". Un modo per esprimere delusione sull'attuale stato delle cose. Ha sintetizzato bene la Cgil di Torino: "non ha solo creduto nel movimento operaio, ne ha fatto parte, contribuendo a far crescere sempre, e senza indulgenza alcuna, una cultura critica. Il sapere operaio, il sapere espresso nel lavoro è il punto di vista da cui procedeva con le sue analisi acute e profonde, con l'obiettivo di riconoscere la volontà dei lavoratori di affermare la loro autonomia... Un intellettuale raffinato che ha scelto di stare dalla parte del movimento organizzato dei lavoratori, senza ambiguità e lontano dall'auto-referenzialità accademica".
Non c'è più Vittorio Rieser. Non c'è più un intellettuale che aveva posto il suo sapere, il suo cervello, a disposizione degli operai, più che degli accademici. Ha lasciato studi, inchieste soprattutto, riflessioni. Molti lo ricordano oggi per il suo lavoro, accanto a Renato Panzieri, nella costruzione dei "Quaderni Rossi", negli anni 60, con personaggi come Mario Tronti, Massimo Cacciari, Vittorio Foa, Gianni Alasia, Sergio Garavini, Emilio Pugno. Era figlio di un ebreo polacco comunista e la mamma era stata responsabile del partito clandestino comunista di Grosseto e per questo condannata a un anno di carcere dal Tribunale speciale. Vittorio aveva mosso i suoi primi passi politici sposando la causa allora minoritaria dei "titoisti" di Valdo Magnani, probabilmente attirato dalle esperienze di "autogestione" allora care al "comandante Tito". Poi era passato dalla sinistra socialista, ad Avanguardia Operaia, a Rifondazione Comunista. Io lo ricordo intento, qualche anno fa, a collaborare a un libro-inchiesta sul "lavoro che cambia" accanto a Cesare Damiano, Aris Accornero, Mimmo Carrieri, Igor Piotto. Ora prestava la sua preziosa opera all'Ires Cgil di Torino. Fra i suoi ultimi libri:" Lavorare a Melfi: inchiesta operaia nella fabbrica integrata Fiat". Un operaio della Fiat che lo conosceva bene, Gianni Marchetto, ha ricordato lunghe discussioni con lui sul binomio "più democrazia-più produttività". Una pubblicazione on line "Lavoro e politica", ha ripubblicato un suo articolo del 2012 in cui ipotizzava un processo capace di costruire una forza politica organizzata partendo dai movimenti di lotta e mirando a un "progetto complessivo di trasformazione della società". Un modo per esprimere delusione sull'attuale stato delle cose. Ha sintetizzato bene la Cgil di Torino: "non ha solo creduto nel movimento operaio, ne ha fatto parte, contribuendo a far crescere sempre, e senza indulgenza alcuna, una cultura critica. Il sapere operaio, il sapere espresso nel lavoro è il punto di vista da cui procedeva con le sue analisi acute e profonde, con l'obiettivo di riconoscere la volontà dei lavoratori di affermare la loro autonomia... Un intellettuale raffinato che ha scelto di stare dalla parte del movimento organizzato dei lavoratori, senza ambiguità e lontano dall'auto-referenzialità accademica".
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