Tre mesi dopo il grande successo della sua esibizione durante la Musikfest, Daniel Hope è tornato a suonare qui a Stuttgart. In occasione del suo concerto dello scorso settembre al Theaterhaus avevo recensito molto positivamente la prestazione del quarantaduenne violinista sudafricano, che mi aveva davvero impressionato per la sua padronanza virtuosistica unita a una personalità di interprete originale e creativa sia nelle scelte esecutive che nella scelta del repertorio. Daniel Hope, come scrivevo in quella occasione, è infatti un personaggio poliedrico che all’ attività concertistica alterna con successo quelle di scrittore, conduttore di programmi radiofonici, autore televisivo e produttore di film documentari. Figlio dello scrittore Christopher Hope, emigrato in Europa dal Sudafrica perché ostile alla politica dell’ apartheid, Daniel Hope è stato guidato nei suoi inizi di carriera da Yehudi Menuhin, presso il quale la madre aveva trovato lavoro come segretaria e poi manager. Dopo aver fatto parte del leggendario Beaux Arts Trio negli ultimi anni di attività del complesso, Daniel Hope si è dedicato interamente alla carriera solistica imponendosi rapidamente all’ attenzione del mondo musicale internazionale non solo per il suo talento violinistico ma anche per l’ originalità nelle scelte di programmi che spaziano dal barocco fino al cross-over, al jazz e alla musica contemporanea. Le sue numerose incisioni discografiche, effettuate prima per la Warner e dal 2007 in esclusiva per la DG, hanno ricevuto diversi premi da parte della stampa specializzata, tra cui il Deutschen Schallplattenpreis e per cinque volte l’ ECHO Klassik Preis. In aggiunta a questi riconoscimento, l’ artista sudafricano è stato recentemente insignito dell’ Europäischer Kulturpreis 2015, attribuitogli dalla Europäische Kulturstiftung Pro Europa per il suo grande impegno nel campo dell’ educazione musicale, della divulgazione culturale e in quello della difesa dei diritti umani.
Nel concerto al Theaterhaus dello scorso settembre Daniel Hope aveva proposto un omaggio a Yehudi Menuhin, il cui programma costituirà anche il nucleo del suo prossimo album in uscita fra poco per la DG per celebrare il centenario della nascita del leggendario violinista. Per questa serata alla Liederhalle, nell’ ambito della stagione concertistica organizzata dall’ associazione Stuttgart Konzert, il violinista di Durban ha presentato quello che è forse il progetto concertistico di maggior successo tra quelli da lui intrapresi negli ultimi anni, intitolato Vivaldi Recomposed. Si tratta di un programma nato da un’ idea di Max Richter, quarantanovenne compositore originario di Hameln e formatosi in Inghilterra, conosciuto a livello internazionale soprattutto come autore di colonne sonore tra le quali spicca quella per il documentario Waltz with Bashir di Ari Folman, film del 2008 che ha ottenuto un Golden Globe Award e una nomination all’ Oscar, per la quale Richter è stato premiato come Best European Composer agli European Film Awards.
Max Richter, che ha alle spalle una solida formazione accademica conclusa in Italia con Luciano Berio, è un compositore dalla produzione molto eclettica che spazia dal classico al rock attraverso influssi stilistici collegati al minimalismo e alla musica ambientale. Il progetto Vivaldi Recomposed, del quale Daniel Hope è il dedicatario, costituisce una sorta di riflessione compositiva sulle Quattro Stagioni di Vivaldi, i primi quattro brani della raccolta di concerti per violino a archi Il Cimento dell’ Armonia e dell’ Invenzione, Opera Ottava che costituiscono uno dei brani più celebri della letteratura classica mondiale, forse addirittura il più famoso a livello assoluto. Max Richter ha ideato per Daniel Hope una rielaborazione musicale delle partiture vivaldiane la cui registrazione, pubblicata in CD nel 2013, ha ottenuto un successo commerciale tra i maggiori degli ultimi anni con più di 130000 copie vendute, tanto da aver raggiunto le prime posizioni nelle Pop-Charts di diverse nazioni e addirittura il primo posto nella iTunes-Chart degli Stati Uniti. Dopo la registrazione del disco Daniel Hope ha portato il programma in tournéé in tutto il mondo e in questi giorni lo sta riproponendo in Germania insieme al complesso cameristico L’ Arte del Mondo, fondato nel 2004 a Leverkusen da Werner Ehrhardt.
Il programma del concerto alla Liederhalle presentava nella prima parte l’ esecuzione del ciclo vivaldiano nella versione originale. Daniel Hope, splendidamente sostenuto dai tredici strumentisti de L’ Arte del Mondo, ha confermato pienamente l’ impressione altamente favorevole che mi aveva lasciato dopo il suo concerto di tre mesi orsono. Il virtuoso sudafricano ha tratto dal suo splendido Guarneri del Gesù “ex-Lipinski” del 1713 un vero e proprio arcobaleno di sonorità tradotte in un fuoco d’ artificio di numeri virtuosistici di altissima scuola per quanto riguarda la varietà di attacco del suono, colpi d’ arco e accenti ritmici. Ho ascoltato i concerti delle Stagioni un’ infinità di volte, dal vivo e in disco, ma in pochissime altre occasioni mi è capitato di trovarmi di fronte a un interprete capace di rendere questa musica con una tale forza espressiva, aderenza stilistica e un carisma evocativo capace di farci immaginare la forza magnetica che Vivaldi stesso, secondo le testimonianze d’ epoca, sfoderava quando suonava questa musica a Venezia insieme alle sue allieve, nel Pio Ospedale della Pietà.
Nella seconda parte, come dicevamo, abbiamo ascoltato la rielaborazione vivaldiana composta da Max Richter. Non si tratta di uno stravolgimento dell’ originale ma piuttosto della sottolineatura di alcuni tra i passaggi principali dei quattro Concerti delle Stagioni ottenuta tramite la reiterazione insisitita dei frammenti melodici, su uno sfondo di musica elettronica ambientale in stile minimalista. Parlando in termini pratici, l’ effetto che ne viene fuori è simile al processo mentale compiuto da un appassionato di musica che canta e ricanta una melodia a lui familiare modificandone inconsapevolmente la struttura. Il gioco è condotto con un notevole buon gusto e il risultato è senza dubbio molto gradevole in termini sonori. Particolarmente riuscita mi è sembrata la rielaborazione del quarto Concerto, “L’ Inverno”, dove le soffuse sonorità elettroniche concepite da Max Richter conferiscono un bellissimo rilievo alla struggente melodia del movimento centrale. Daniel Hope è stato anche qui magnifico in una parte solistica forse addirittura più ostica della versione originale, per la ripetizione insisitita di passaggi virtuosistici tra i più difficili delle quattro partiture. In definitiva si è trattato di una serata originale e molto interessante, che ha riscosso un notevole successo da parte del pubblico della Liederhalle.