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Vivere al buio, Mauro Marcantoni

Creato il 03 aprile 2014 da Serenagobbo @SerenaGobbo

Vivere al buio, Mauro Marcantoni

Un libro che è una specie di galateo per il vedente nei confronti del cieco. Uso la parola cieco, perché lo fa Marcantoni, che è cieco, ma è anche sociologo e giornalista.
Vi meravigliate? non siete i soli: stupirsi che un cieco possa raggiungere certi traguardi è un atteggiamento molto diffuso.

E’ il concetto di handicap che bisogna pensare in termini nuovi, spogliandolo dei pregiudizi; come quelli per cui i ciechi sono tutti tristi, bisognosi di aiuto, titolati solo per lavori di basso profilo.
Certo, non si devono negare le difficoltà, ma l’assenza di un senso non impedisce di diventare pittori o avvocati, né di viaggiare o andare in bici.
Tutto si gioca sull’ascolto e l’autostima.

Ci sono tante pagine del libro in cui ho dovuto sforzarmi per ricordare che si parlava di ciechi:

“La normalità non è uno standard a cui dobbiamo adeguarci, ma un modo originale e del tutto personale di perseguire diversamente gli stessi obiettivi di vita e di lavoro”.

L’impegno, il controllo, il gusto per le sfide sono tre approcci che riguardano certo il cieco, che dovrà applicare tutta la sua creatività (e memoria!) per vivere nel mondo delle immagini; ma sono atteggiamenti che tutti dovremmo far nostri.

Ognuno è diverso.

La realtà quotidiana è fatta di un’inestricabile rete di possibilità mancate per distrazione, per paura, per un’incapacità di riconoscere quello che si presenta davanti a noi.

E questo riguarda sia i ciechi che i vedenti.

E tu, che sei normale, sei davvero come tutti gli altri? Non hai pensieri solo tuoi? La tua identità è uguale a quella degli altri?

E ancora:

La normalità dovrebbe essere la soggettiva possibilità di vivere la propria esistenza con dignità e senza doversi confrontare con modelli preconfezionati, standardizzati o socialmente riconosciuti.

Mi viene in mente un aneddoto al contrario che non riguarda la cecità, ma un’insana concezione della normalità.
Ero alle superiori, e nessuno aveva svolto un compito particolarmente ostico. Nessuno tranne io. Quando l’insegnante ha chiesto se qualcuno c’era riuscito, io non ho alzato la mano.
OK, ragazzi, sono una di voi.

Turbe adolescenziali?
Macché… 2014, ho quarant’anni, e l’ho rifatto.
Sono rientrata nella norma.
Sono normale.



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