Sono incappata nell’etimologia del verbo appartenere che proviene dal latino ad = a pertinère = stendersi, giungere, pervenire. Di conseguenza forse sbagliamo nell’attribuire a tale verbo un’ accezione di possesso, di proprietà, di qualcosa che ci inglobi . Dovrebbe essere il contrario, dovrebbe rappresentare lo sforzo e l’anelito di un individuo a voler essere pars di qualcosa.
Ed è così: è bello appartenere.
Innanzitutto l’individuo si riconosce in una comunità, ne accetta le regole, le rispetta, dovrebbe partecipare alla vita comunitaria o contribuire al funzionamento ed al miglioramento della stessa. E per quanto le deviazioni e gli allontanamenti da questa tendenza siano tanti, è innegabile che alla fine il senso di pars, nel suo significato più intimo e profondo, non si smarrisce. Basti pensare al numero crescente di associazioni e movimenti che si impegnano quotidianamente per recuperare una consapevolezza civica pubblica che si disgrega di fronte a logiche di mercato e macrosistemi di potere schiaccianti. E non ritengo che operino solo per colmare lacune di uno Stato assente, in parte probabilmente, ma anche e soprattutto per quello sforzo, quel tendere, insito nell’etimologia dell’ appartenere che fa l’ essenza di un cittadino.
Diceva Paul Auster in un’intervista: “Credo malgrado tutto che ogni persona sia sola, tutto il tempo. Si vive soli. Gli altri ci stanno intorno, ma si vive soli. Ognuno è come imprigionato nella sua testa, e tuttavia noi siamo quello che siamo solo grazie agli altri. Gli altri ci “abitano. Per “altri” si deve intendere la cultura, la famiglia, gli amici. A volte possiamo cogliere il mistero dell’altro, penetrarlo, ma è talmente raro! E’ soprattutto l’amore a permettere un incontro di questo genere. ci “abitano”. Per “altri” si deve intendere la cultura, la famiglia, gli amici. A volte possiamo cogliere il mistero dell’altro, penetrarlo, ma è talmente raro! È soprattutto l’amore a permettere un incontro di questo genere. Circa un anno fa, ho ritrovato un vecchio quaderno dei tempi in cui ero studente. Lì prendevo appunti, fermavo delle idee. Una citazione mi ha particolarmente impressionato: «Il mondo è nella mia testa. Il mio corpo è nel mondo». Avevo diciannove anni, e questa continua a essere la mia filosofia. I miei libri non sono nient’altro che lo sviluppo di questa constatazione.”
Una persona appartiene anche a coloro che lo circondano. La nostra vita è densa di relazioni e per quanto ci si muova sotto la spinta di forze individualiste non ci si può e deve mai sottrarre a quella compartecipazione nella vita di chi ci sta accanto. La nostra esistenza si intreccia inevitabilmente con quella degli altri, nella famiglia, nelle relazioni col proprio compagno o con i propri amici. Ed ogni volta si appartiene, nel senso più alto e nobile, all’altro. E’ una vis invisibile e, proprio perché tale, più forte. Poichè appartenenti agli altri, ne siamo responsabili , ce ne prendiamo cura, ed operiamo per loro, ove possibile. Non è immaginabile una vita senza affetti, oltre ad “abitarci”, le persone che amiamo e con cui ci relazioniamo sono il nostro metro di valore, della capacità di affermare e verificare la nostra esistenza. Difficilmente l’individuo riesce a sottrarsi a queste logiche e se lo fa, avviene a prezzo di profonda alienazione e disperazione. Una persona si completa se “appartiene” ad un altro, ad un genitore, ai figli, ad un amore, ad un amico…
Ma l’individuo appartiene, e tende ovviamente, soprattutto verso la propria terra. Si viaggia, si esplora e si conosce il mondo, ma nessun luogo potrà mai intrecciarsi alla propria anima come quello proprio, di cui se ne custodiscono i segreti. Assume una certa “carnalità” questo rapporto, indissolubile come quello di sangue. La nostra terra ci racconta, parla di noi, ci decifra. E’ invisibile il legame con essa, fatto di storie e leggende tramandate dalle generazioni che ci hanno preceduto. E’ il nostro futuro, la sponda ove tutto si placa nel momento in cui ti riconosci in un volto ed in una sembianza. E’ l’estremo rifugio, punto di partenza e di ritorno, come ci ha insegnato Tiziano Terzani. E’ il luogo della memoria, di cui sei profondamente pars,ove basta un sentiero, un sasso, un albero che abbracciavi per squarciare ricordi di un’esistenza, la tua.