Partire è lasciarsi tutto alle spalle. È il sogno ricorrente di ogni viaggiatore. Per alcuni è quasi un bisogno, una risposta a un percorso che non sembra aver ancora trovato realizzazione, la via d’uscita a quella combinazione di eventi che raramente sembrano essere sotto il nostro controllo. Per Carlo Convertini, autore dei racconti uniti sotto il titolo “24 East – Racconti dal Sud-Est asiatico“, sembra essere la risposta a un grido d’aiuto che gli viene da dentro, un lamento sordo e inesorabile che lo porta a fare la scelta che potrebbe cambiare per sempre la sua vita.
“Non stai andando da nessuna parte…sei tutti gli errori che avresti potuto fare…ti devi dare una mossa! Hai quasi trent’anni e che cos’hai messo assieme? Non molto più di pezzetti e avanzi.“
Ecco allora che si decide e parte alla volta di Kuala Lumpur, in Malesia, per insegnare interior design in un college straniero a cui approdano studenti da ogni dove, ognuno con il suo fardello culturale, legati da una lingua che è straniera ai più e impegnati ognuno a suo modo a fare i conti con la nuova realtà in cui si sono tuffati. Nel suo bagaglio da 23 chili racchiude tutto ciò che era e un biglietto di sola andata Roma-Kuala Lumpur è la sua chiave verso ciò che sarà.
Carlo, come racconta lui stesso, è “sceso dalla sua vita” per fare scelte che non aveva mai pensato di poter fare, per cercare “un’altra maniera di vivere”. Giunge un Malesia, una giovane nazione nata dalla collaborazione di popoli diversi tra loro, e si mette in gioco in ogni aspetto della sua nuova vita. Senza dimenticare da dove viene, ma aprendosi al confronto con le scelte di una cultura così diversa dalla sua.
Sarebbe facile presentarmi aggrappato al mio fardello culturale Italiano-occidentale e comportarmi di conseguenza, bollando tutto quello che mi circonda come un’incomprensibile accozzaglia di credenze, ma sarebbe come se la mia cultura diventasse uno scudo dietro cui nascondermi quando invece dovrebbe essere un materiale di scambio, un porto da cui partire alla scoperta di nuovi mondi.
Ad ogni nuovo incontro, ad ogni nuova esperienza, Carlo raccoglie le sue riflessioni, i suoi stati d’animo, con le parole ne fa quadri divisi l’uno dall’altro ma legati tra loro dalla ricerca di un equilibrio tra la persona che era e quella che diverrà. Il risultato, a suo dire, ha la struttura di un album musicale: ogni storia è una canzone, con un ritmo e una durata propria; a legarle resta l’esperienza che le ha prodotte, la ricerca di quella melodia che forse si nasconde dietro la felicità.
Eccolo affrontare la ricerca di una casa e perdersi nel significato che questa parola ha per lui. La condivisione di un pasto è un momento per ricordarsi che anche lontani dalla nostra terra d’origine, il nostro stomaco e i nostri appetiti continuano a ricordarci che ognuno porta con sé la propria storia. Gli sguardi curiosi dei suoi nuovi concittadini gli ricordano sempre l’eterna domanda di chi ha intrapreso un viaggio di cui non conosce la destinazione finale: “Ma che diavolo ci fai qui?”
La risposta non è mai chiara. Siamo tutti persone incomplete, dei “lavori in corso”, ma finché continuiamo a percorrere le strade della vita, confrontandoci con gli altri viaggiatori con umiltà e coraggio, il viaggio continua ad essere la via più probabile per trovare una risposta. E anche se non dovesse arrivare, resteranno almeno i momenti che ci hanno visto crescere, canzoni di una colonna sonora, di un film di cui noi eravamo i protagonisti.
Flavio Alagia
Dopo una laurea in giornalismo a Verona, mi sono messo lo zaino sulle spalle e non mi sono più fermato. Sei mesi a Londra, un anno in India, e poi il Brasile, il Sudafrica… non c’è un posto al mondo dove non andrei, e non credo sia poco dal momento che odio volare. L’aereo? Fatemi portare un paracadute e poi ne riparliamo.
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