Domenica anticipavo i contenuti di oggi, parlando di una rivoluzione in corso nell’editoria. Partiamo con ordine. Il 23 giugno scorso ascolto il video di Rowling, la mente di Harry Potter: «Bum!» penso «Qui cambia tutto!». In questo momento che sto scrivendo (domenica 26 giugno) è già a 1.262.862 di click e sono certo che voi, se ci fate caso, potrete adesso notare un numero ancor più rilevante. Perché cambia tutto? Perché Rowling non ha mai avuto grandi simpatie per la tecnologia e-book e ora lancia Pottermore, decidendo, di fatto, di mettersi in proprio per i contenuti non legati alla filiera classica del libro, quindi per tutto ciò che riguarda la lettura non cartacea. Non un arrivederci agli editori, un addio, o meglio, un inizio di addio, con un occhio rivolto al futuro. Il marketing è stato calibrato con cura, avremo altre notizie a fine luglio (un gruppo selezionato testerà il prodotto innovativo) e poi a ottobre il sito aprirà ufficialmente le danze.
I blog letterari e la stampa anglosassoni si stanno scatenando da giorni, chi pro chi contro, l’attesa era forte. Venerdì scorso Alison Flood, giornalista del Guardian, parlando del self-publishing, non manca di citare la Rowling, un’autrice da milioni di copie, leggiamolo in altri termini, milioni di potenziali lettori che si immergeranno nella lettura di un e-book. Se il primo test funzionerà (ricordiamo che la base degli utenti dei suoi libri è in particolare quella dei giovani), non vi sono dubbi: lo scacco matto all’editoria tradizionale è alle porte, aprendo scenari imprevedibili nel suo caso.
Si legge su paidcontent.org, un sito che si occupa dell’economia dei contenuti digitali:
“Interesting experiments with pricing.Since Rowling is selling the e-books directly, she can do what she wants with pricing. Her UK publisher, Bloomsbury, and her U.S. publisher, Scholastic, are getting a cut, but these books are being published under the Pottermore Publishing imprint, not by Bloomsbury or Scholastic”.
Il concetto è chiaro, bye bye grandi editori, see you later, ma forse no. Si parla addirittura nell’articolo di singoli capitoli a pagamento, per questo motivo scenari imprevedibili. Che cosa accadrà se milioni di potenziali lettori si getteranno sui prodotti innovativi di Rowling, condizionando senza dubbi il mercato degli e-book? Quelle stesse persone porteranno consapevolezze nuove sull’economia, alterando abitudini e preferenze di lettura. Problemi di compatibilità con i formati? No, l’autrice stessa ha dichiarato che si stanno stringendo rapporti in tale senso con Kindle, Apple, Google e gli altri del settore.
Già giovedì scorso qualcuno si chiedeva: «Se i grandi autori non hanno bisogno dei grandi editori, allora a che cosa servono i grandi editori?». Su Twitter si vocifera che Rowling si sarebbe accordata coi due suoi più importanti editori per un 10% di introiti a loro e 90% per lei, vero o falso? Non è ancora dato sapersi. Si interroga sulla situazione Wired Uk, andando oltre la contesa con Bloomsbury e Scholastic, rispettivamente casa editrice inglese e americana di Harry Potter, chiedendosi le conseguenze dell’operazione per la Sony e la Warner Bros. Un fatto è certo, Rowling non può girare le spalle ai suoi editori come se niente fosse, se non altro per la macchina da soldi che ancora le permette di avere in maniera capillare i suoi libri in tutto il mondo, infatti Bloomsbury ha inserito un comunicato fra le news, stessa cosa Scholastic, con la replica del video che annunciava la novità.Tutto qui? Rowling divide et impera? No. C’è altro, molto altro. Seguitemi.
Negli Stati Uniti la comunità degli scrittori si organizza con strutture, diversamente da quanto accade nel nostro paese. Non parlatemi di TQ, vi prego. Nulla contro l’esimia esperienza italiana dei trenta-quarantenni, ma qualcosa di più *aperto*, democraticamente aperto, non un gruppo che si sceglie e si invita da solo nelle sue componenti, in modo arbitrario. Per esempio la San Francisco Writers Conference, non è l’unica. Desiderio di interpretare, desiderio di incontrarsi, desiderio di prevedere il miglior modo per stare sul mercato, lontano da logiche *isolazioniste* frequenti in Italia. Indipendentemente dalla partigianeria come stile (fattore tuttavia rilevante, se non altro perché negli Stati Uniti si percepisce con più velocità i cambiamenti dentro la comunità degli scrittori: ne scaturiscono studi, articoli, dibattiti più orientati e ordinati), qualcosa sta cambiando in maniera ineludibile.
Sam Missingham, collaboratore di FutureBook, scrive a chiare lettere ieri (lunedì 27), nel suo articolo We are all postmodernists now che ora stiamo davvero vivendo una fase da postmodernisti, una fase nella quale tutti, realmente tutti, possono comunicare, grazie alle nuove tecnologie, arrivando dritti ai lettori, senza intermediari; i numeri del cambiamento, almeno negli Stati Uniti, sono a dir poco sbalorditivi: “With the models that have been so reliable for so long consigned to the dustbin, we’re at the mercy of two things: technology, and the market. Around 300,000 books were published last year, alongside another 2.9 million self-published titles. It's a bottom-up culture like we've never known before”.
Numeri che crescono non di anno in anno, ma di mese in mese, con un’accelerazione che per certi versi mi ha ricordato La singolarità è vicina di Ray Kurzweil, celebre tecnologo e autore di libri di enorme successo sull’evoluzione della scienza. Tecnologia al servizio degli scrittori che in qualche caso sconvolge ogni regola consolidata, come nel caso di John Locke, il quale superando il milione di copie con i suoi e-book è entrato di diritto nel Kindle Million Club (otto persone nel gruppo, nomi come Michael Connelly o Stieg Larsson). Forse qualcuno potrà criticare la debolezza letteraria dei testi o la furbizia improvvisatrice di taluni, ciononostante credo che dal punto di vista editoriale oggi, per uno scrittore esordiente, non sia mai stato più vero il seguente concetto:
Spesso uno dei modi migliori per svolgere un compito, da montare degli scaffali a trovare un lavoro, è semplicemente iniziare, anche se non si ha un’idea chiara sul modo migliore di procedere. Si fa un tentativo, si impara e ci si corregge. «Il mondo» ha detto una volta il matematico e storico della cultura Jacob Bronowsky «può essere afferrato solo con l’azione, non con la contemplazione»
[L’atomo sociale di Mark Buchanan]
Milioni di scrittori esordienti hanno in questa fase di forte cambiamento l’opportunità di mettere in moto un’azione nel mondo dell’editoria, senza intermediari: il pubblico sarà l’unico vero metro di giudizio.Rachelle Gardner, un’agente letteraria di Denver, in un articolo dello scorso 20 giugno, si chiede: Perché pubblicare è così lento?, un problema serio, pure nel nostro paese. Persone che attendono da sei mesi o da un anno o anche più un giudizio sulla loro opera inedita, creando uno stato di frustrazione in alcuni non indifferente. Gardnersi spinge ad affermare: I imagine the next five years will see more change in the business of bringing book-length works to the masses than has occurred in the last 571 years. Un cambiamento epocale non in 20 o 50 anni, ma in cinque anni. Follia? No, direi di no. Per quale ragione?
Sempre con i dovuti accorgimenti per la diversità del mercato editoriale italiano è bene ricordare alcuni punti:
1- Gli scrittori esordienti italiani sono stanchi dei tempi geologici di risposta delle case editrici e degli agenti letterari.
2- Gli scrittori esordienti italiani sono insofferenti verso le basse percentuali sui diritti d’autore offerte dai contratti delle case editrici.
3- Gli scrittori esordienti italiani sono individualisti, farebbero volentieri a meno delle case editrici.
Generalizzazioni esagerate? Certamente, ma quanto? Non troppo dal mio punto di vista.
Domanda finale che introdurrà l’argomento di venerdì prossimo: può uno scrittore esordiente essere del tutto indipendente dalle case editrici, dagli agenti letterari e dalle librerie?
A presto.