Non posso fare a meno di fare una riflessione sulla recente vicenda che ha tenuto banco nel nostro paese: l’autorizzazione all’arresto di Papa. Per carità, chi sbaglia deve pagare. È un principio costituzionale e di civiltà che non può essere in alcun modo contestato. Ma, mi domando per l’ennesima volta: è questo il modo corretto di procedere nei confronti di chi rappresenta o dovrebbe rappresentare il popolo italiano?
Mi spiego (seppure troppo spesso l’abbia già fatto da queste pagine). È vero che i cittadini sono tutti uguali dinanzi alla legge. Ed è vero che chi commette un reato deve pagare. Ma, l’uguaglianza e la retribuzione penale se possono essere considerati principi supremi inderogabili devono comunque essere calati nel contesto. La cieca giustizia è ingiustizia. Come lo è l’atteggiamento forcaiolo e rabbioso di tutti coloro che in un modo o nell’altro, ottenebrati dall’odio politico o anche semplicemente da un moralismo ridicolo e puerile, vedono in una qualsivoglia indagine penale, la sentenza di condanna senz’appello.
Abbiamo impiegato secoli per costruire una giustizia, equa, umana e vicina ai cittadini, una giustizia sottoposta al controllo del popolo e non già promanazione del potere dominate o autonoma rispetto alle strutture democratiche, eppure oggi la stiamo demolendo, rendendola espressione di un potere autocratico e autolegittimante. Capace finanche di decidere chi ci deve governare e chi non.
Certo, è anche vero che qualcuno potrebbe obiettare che se un governante non commette reati ed è onesto non avrà mai nulla da temere. Rispondo: e chi ci garantisce che quel governante, pur non commettendo reati, poi non possa essere comunque indagato, processato e condannato?
È un dilemma che non è facilmente risolvibile con il ragionamento troppo semplicistico del «se si è onesti non si ha nulla da temere». Questo è un concetto di comodo. È il concetto di chi si ferma solamente alla superficie delle cose, ai ragionamenti semplicistici del bianco e del nero, del male e del bene. E il concetto di chi si aggrappa tenacemente ai Savonarola di turno, agli Eymerich e ai Torquemada o ai Bellarmino, ai cappi al collo, ai piazzali Loreto, alle monetine e all’odio veemente e troppo spesso dettato dal pregiudizio (politico). È la più pericolosa delle subdole fregature, perché ogni giorno, tramite essa, barattiamo la nostra libertà politica per un giustizialismo militante, autocratico, intoccabile e non controllabile dai veri detentori del potere: i cittadini.
E allora qual è la risposta? La risposta è «equilibrio». La democrazia è equilibrio; un equilibrio nel quale è il popolo l’ago della bilancia: il dispensatore della giustizia. Ecco perché quando l’architettura democratica è solida, l’interazione tra giustizia e politica è frutto di un limite e di un rispetto reciproco che purtroppo (però) nel nostro paese è letteralmente scomparso (v. art. 68 Cost.). Il risultato è quello che si vede oggi: un paese nel quale la distruzione sistematica dell’azione politica è condotta non già tramite il dissenso politico e il confronto democratico, ma attraverso l’azione giudiziaria. Stiamo alimentando un mostro e non ce ne rendiamo conto…
di Martino © 2011 Il Jester