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Viviamo in un paese di manettari, ma la giustizia non vive in Italia

Creato il 20 luglio 2011 da Iljester

Viviamo in un paese di manettari, ma la giustizia non vive in Italia

Non posso fare a meno di fare una riflessione sulla recente vicenda che ha tenuto banco nel nostro paese: l’autorizzazione all’arresto di Papa. Per carità, chi sbaglia deve pagare. È un principio costituzionale e di civiltà che non può essere in alcun modo contestato. Ma, mi domando per l’ennesima volta: è questo il modo corretto di procedere nei confronti di chi rappresenta o dovrebbe rappresentare il popolo italiano?
Mi spiego (seppure troppo spesso l’abbia già fatto da queste pagine). È vero che i cittadini sono tutti uguali dinanzi alla legge. Ed è vero che chi commette un reato deve pagare. Ma, l’uguaglianza e la retribuzione penale se possono essere considerati principi supremi inderogabili devono comunque essere calati nel contesto. La cieca giustizia è ingiustizia. Come lo è l’atteggiamento forcaiolo e rabbioso di tutti coloro che in un modo o nell’altro, ottenebrati dall’odio politico o anche semplicemente da un moralismo ridicolo e puerile, vedono in una qualsivoglia indagine penale, la sentenza di condanna senz’appello. 
Abbiamo impiegato secoli per costruire una giustizia, equa, umana e vicina ai cittadini, una giustizia sottoposta al controllo del popolo e non già promanazione del potere dominate o autonoma rispetto alle strutture democratiche, eppure oggi la stiamo demolendo, rendendola espressione di un potere autocratico e autolegittimante. Capace finanche di decidere chi ci deve governare e chi non.
Certo, è anche vero che qualcuno potrebbe obiettare che se un governante non commette reati ed è onesto non avrà mai nulla da temere. Rispondo: e chi ci garantisce che quel governante, pur non commettendo reati, poi non possa essere comunque indagato, processato e condannato?
È un dilemma che non è facilmente risolvibile con il ragionamento troppo semplicistico del «se si è onesti non si ha nulla da temere». Questo è un concetto di comodo. È il concetto di chi si ferma solamente alla superficie delle cose, ai ragionamenti semplicistici del bianco e del nero, del male e del bene. E il concetto di chi si aggrappa tenacemente ai Savonarola di turno, agli Eymerich e ai Torquemada o ai Bellarmino, ai cappi al collo, ai piazzali Loreto, alle monetine e all’odio veemente e troppo spesso dettato dal pregiudizio (politico). È la più pericolosa delle subdole fregature, perché ogni giorno, tramite essa, barattiamo la nostra libertà politica per un giustizialismo militante, autocratico, intoccabile e non controllabile dai veri detentori del potere: i cittadini.
E allora qual è la risposta? La risposta è «equilibrio». La democrazia è equilibrio; un equilibrio nel quale è il popolo l’ago della bilancia: il dispensatore della giustizia. Ecco perché quando l’architettura democratica è solida, l’interazione tra giustizia e politica è frutto di un limite e di un rispetto reciproco che purtroppo (però) nel nostro paese è letteralmente scomparso (v. art. 68 Cost.). Il risultato è quello che si vede oggi: un paese nel quale la distruzione sistematica dell’azione politica è condotta non già tramite il dissenso politico e il confronto democratico, ma attraverso l’azione giudiziaria. Stiamo alimentando un mostro e non ce ne rendiamo conto…

 

di Martino © 2011 Il Jester 


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