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Vizio di forma (USA 2014) Titolo originale: Inherent Vice Regia: Paul Thomas Anderson Sceneggiatura: Paul Thomas Anderson Tratto dal romanzo: Vizio di forma di Thomas Pynchon Cast: Joaquin Phoenix, Katherine Waterston, Josh Brolin, Joanna Newsom, Owen Wilson, Jena Malone, Reese Witherspoon, Benicio Del Toro, Eric Roberts, Maya Rudolph, Jordan Christian Hearn, Hong Chau, Michael Kenneth Williams, Sam Jaeger, Timothy Simons, Belladonna, Elaine Tan, Sasha Pieterse, Martin Donovan, Martin Short Genere: fattone Se ti piace guarda anche: Paura e delirio a Las Vegas, Jackie Brown, The Rum Diary - Cronache di una passione, Fatti, strafatti e strafighe
Pochi giorni fa è venuta a mancare mia nonna. Aveva 90 anni. Si può dire che raggiunta quell'età la sua vita l'avesse vissuta, in molti l'hanno detto, ed è vero. Nei suoi confronti provo un unico rammarico. I suoi ultimi anni. Cinque anni passati quasi sempre in un letto di una casa di riposo, paralizzata per colpa di un dannato ictus. Lo so che potrà sembrare ingenuo da parte mia. Lo so che significa barare. Lo so che è come giocare a fare Dio, ma io quegli ultimi anni li voglio gettare via. Fare finta che non siano mai esistiti. Cancellare quel capitolo conclusivo dalla sua vita e dalla mia memoria. Anche se non c'è modo di evitare il tempo, il mare del tempo, il mare del ricordo e della dimenticanza, io voglio ricordare solo le cose belle. Voglio ricordare mia nonna come una persona sempre in giro, sempre in movimento, mai ferma in un solo posto, come quel beffardo destino bastardo l'aveva costretta alla fine.
Ricordo che mia nonna era una delle persone che più mi facevano ridere a questo mondo. Non importava tanto ciò che diceva, era il suo tono. Il suo modo di sdrammatizzare su tutto, di cercare sempre il lato positivo, di essere ottimista, di guardare avanti. Quando le chiedevi come stava, lei diceva sempre: “Tiruma avanti”, ovvero “Tiriamo avanti”. Ed era proprio ciò che faceva. Andava sempre avanti. Ricordo di quando c'era ancora al mondo anche mio nonno e loro due battibeccavano e mi facevano morire dal ridere – lasciatemi usare quest'espressione per esorcizzare l'argomento – più di Raimondo e Sandra in qualunque episodio di Casa Vianello. Ricordo che da piccolino ero contento quando mi veniva l'influenza, perché così potevo stare a casa da scuola e sapevo che sarebbe venuta mia nonna a guardarmi. Sapevo che invece di stare in un banco di scuola ad ascoltare qualche noiosa lezione avrei potuto giocare a carte con lei. A briscola. Giocavamo sempre a briscola. Lei poi mi avrebbe cantato qualche vecchia canzone, come Bandiera rossa. Sì, mia nonna era comunista. Era comunista, era una combattente ed era una persona che diceva sempre quello che pensava, chiunque si trovasse davanti. Questa è una cosa che credo, o almeno spero, di avere ereditato da lei. C'è un'altra cosa che credo di aver preso da lei. La capacità di cambiare tema quando si parla di argomenti tristi. Quando qualcuno tirava fuori una storia pesante o deprimente, lei era sempre la prima che cercava di discutere d'altro ed è così che piace fare anche a me.
Oggi allora non c'è spazio per la tristezza. Vi parlo di una commedia. Una commedia che forse non c'entra niente con mia nonna, o forse tutto, o forse è solo che è il primo film che ho guardato dopo la sua morte e quindi in qualche modo me l'ha ricordata. O sarà perché fuori dalla camera mortuaria in cui l'hanno sistemata c'era una pianta di Magnolia. Magnolia, già, come il primo film di Paul Thomas Anderson che mi è capitato di vedere. Non si tratta in realtà della sua prima pellicola in assoluto. C'era già stato Sydney, che avrei recuperato solo di recente, e c'era già stato Boogie Nights, che avrei guardato poco dopo. Prima di tutto per me c'era stata quella Magnolia ed era stata come “BOOM!” una bomba che mi è esplosa in faccia. In molti l'hanno paragonato ad America oggi, film che mi sono sempre rifiutato di guardare per evitare confronti, ma io non avevo mai visto niente del genere. Un modo di raccontare tante storie tutte insieme in una maniera tanto coinvolgente quanto sconvolgente. Una serie di personaggi favolosi, dal trainer motivazionale di “Seduci e distruggi” interpretato da un Tom Cruise mai così grande, al bimbetto che se la fa sotto durante un quiz show, il tutto accompagnato dalle canzoni da brivido di Aimee Mann e da una pioggia di rane. Mai visto niente del genere. Né prima, né dopo.
Tutte le altre sue pellicole per me sono dei PT Anderson minori. Non tanto per loro demeriti. È che per me quasi qualunque altro film è minore in confronto alla grandiosità di Magnolia. Vizio di forma non fa eccezione. D'altra parte un vizio intrinseco è per definizione tutto ciò che non si può evitare. Come dover fare i conti con Magnolia ed essere costretti a perdere, tutte le sante volte. E comunque meglio specificare che un PT Anderson minore è meglio di tanti film maggiori del 90% degli altri registi in circolazione. A Vizio di forma l'etichetta di film poi sta persino stretta. È più che un altro viaggio. Un lungo trip psichedelico, fattissimo, lisergico. Credo di non aver mai usato questo termine, ma se c'è un aggettivo perfetto per descrivere Vizio di forma è lisergico.
La storia raccontata da questo film, pardon da questo trip è incasinatissima. Non si capisce quasi niente. L'impressione, anche se non ne ho la certezza, è che in realtà si tratti di una storia semplicissima raccontata nella maniera più allucinata e incomprensibile possibile. Il motivo per cui amo tanto PT Anderson e allo stesso tempo per cui dentro di me un po' lo odio è proprio questo. Non è abbastanza comunicativo. I suoi lavori restano sempre avvolti da un alone di mistero. Ogni volta c'è qualcosa che sfugge. È per questa ragione che agli Oscar e agli altri grandi premi o è ignorato (Magnolia nel 2000 rimase fuori dalla cinquina!), oppure quando anche è candidato alla fine perde, si veda Il petroliere. Ed è per questa ragione che il grande pubblico lo ignora alla grande. Persino un altro Anderson, Wes, con Grand Budapest Hotel è riuscito di recente ad arrivare non dico ad avere una popolarità di massa, ma quasi. PT Anderson resta invece un autore di nicchia e con Vizio di forma le cose non cambiano. È un lavoro troppo lento, troppo dialogato, troppo poco... comunicativo. Qui sta il suo fascino, perché i suoi film possiedono un alone di mistero come pochi altri, qui sta il suo limite.
La storia tratta dall'omonimo romanzo di Thomas Pynchon e raccontata da Paul Thomas Anderson attraverso questo trip non è così fondamentale. Ci troviamo dentro a una vicenda thriller noir dal sapore criminale in stile Elmore Leonard ma condita da un ancora maggiore senso dell'umorismo e con un tocco delirante alla Hunter S. Thompson. Se in molti hanno accostato la pellicola a Il grande Lebowski, a me invece sono venuti più che altro alla mente Paura e delirio a Las Vegas, per la fattanza, e Jackie Brown, per il tipo di storia presentato. Solo che PT Anderson non è comunicativo quanto QT e quindi il suo film non riesce a essere altrettanto cool. Non arriva del tutto. Sembra sempre lì lì sul punto di spiccare il volo e invece è troppo strafatto per decollare sul serio. Per fortuna che ad accompagnare la visione c'è la voce fuori campo della cantante/attrice Joanna Newsom, secondo alcuni eccessivamente presente, secondo me invece fondamentale come bussola attraverso cui orientarsi dentro a questo delirio.
Vizio di forma al suo interno contiene di tutto e di più. 2 ore e mezza che magari sono troppe, ma d'altra parte questo film funziona come una canzone psichedelica. Non punta all'immediatezza, bensì al creare un avvolgente effetto ipnotico. È una visione molto sesso, droga & rock'n'roll... anzi, rock'n'roll non tanto. Nella bellissima colonna sonora del film, oltre alle musiche originali di un Jonny Greenwood dei Radiohead sempre più a suo agio come compositore per il cinema, sfilano i suoni alternative-jazz-krautrock dei Can con la stupenda “Vitamin C” e poi il folk di Neil Young, cui Joaquin Phoenix si è ispirato per il suo look da fattone, più il pop-soul di Sam Cooke, Chuck Jackson e Minnie Riperton. Se di rock'n'roll non ce n'è molto, il sesso invece non manca, grazie alla tipa orientale di un centro massaggi, alla comparsata della pornostar Belladonna e soprattutto alla rivelazione assoluta Katherine Waterston, promettente attrice che fisicamente mi ricorda Lana Del Rey.
Così come non manca la droga. Di droga ce n'è un sacco e ci sono varie scene che vanno oltre il delirante, come quella fantastica con Sasha Pieterse delle Pretty Little Liars e un ritrovato Martin Short, mitico attore di Salto nel buio, pellicola di Joe Dante del 1987 con cui sono cresciuto. Vizio di forma fa lo stesso effetto della cannabis. Soporifero per alcuni, da sballo per altri.
Nonostante qualche lungaggine, nonostante in fase di montaggio qualche scena superflua si sarebbe anche potuta tagliare, nonostante un ritmo (volutamente) basso, o forse proprio per tutti questi motivi, Vizio di forma è un ritratto perfetto dell'epoca a cavallo tra 60s e 70s e dello stile di vita hippie. In più, con il suo senso dell'umorismo stralunato e la sua follia mi ha divertito parecchio. In alcuni momenti, ad esempio nella breve apparizione di Jena Malone con denti finti da eroinomane o con le facce buffe di Joaquin Phoenix, mi ha fatto riderissimo. Come riusciva a fare mia nonna. Bastava una sua espressione o un suo sguardo per mettermi di buon umore. Inoltre, proprio come a mia nonna, al film non interessa arrivare da qualche parte. La cosa importante in un trip, quanto nella vita, non è la meta. L'importante è proseguire, sempre e comunque. E allora, tiruma avanti.
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