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Vladimir Majakovskij: A Sergej Esenin

Da Paolo Statuti

 

Sergej Esenin

Sergej Esenin

Vladimir Majakovskij

Vladimir Majakovskij

 

Ve ne siete andato,

come dicono,

all’altro mondo.

Il vuoto…

Volate,

imprimendovi nelle stelle.

Nemmeno una bettola,

nemmeno un acconto.

Lucidità.

No, Esenin,

no,

non vi sto beffando.

Ho l’amarezza

in bocca –

non l’ilarità.

Vedo –

Il polso reciso piegando,

delle vostre

ossa

il sacco oscillate.

- Smettetela!

Fermatevi!

Avete perso la testa?

Lasciare

che le guance

inondi

il gesso mortale?!

Voi

che in ogni occasione

sapevate cavarvela

come nessun altro

al mondo

sapeva.

Perché allora?

Perché?

Costernazione!

I critici barbugliano:

- Tutta colpa

di questo…

di quello…

e – principale ragione –

lo scarso legame,

e il risultato? –

molta birra e molto vino. –

Dicono,

dovevate lasciare

la bohème

e unirvi alla classe,

con la classe voi

non avreste fatto scenate.

Perché, la classe

la sete

spegne con le aranciate?

Anche la classe beve

e come!

Dicono,

se vi avessero affidato

a qualcuno di “Na postù” –

il vostro contenuto

sarebbe stato

assai più pregevole.

Voi

avreste scritto

cento strofe

al giorno,

lunghe

e stucchevoli,

come Doronin.

Ma io penso,

che giunto

a tale paranoia,

vi sareste tolto

la vita prima.

Assai meglio

è morire di vodka,

che di noia!

Non ci sveleranno

mai

le cause di questa morte

nè il laccio,

né il temperino.

Ebbene,

si fosse trovato

l’inchiostro all’”Angleterre”,

non avreste avuto motivo

di tagliarvi

le vene.

Si sono rallegrati i plagiari:

bis!

Poco è mancato

che litigassero

tra loro.

Perché mai

aumentare

il numero dei suicidi?

Meglio

produrre

più inchiostro!

Per sempre

adesso

la lingua

si chiuderà tra i denti.

Pesa

ed è fuori luogo

risvegliare l’arcano.

Per la gente,

per chi crea il linguaggio,

è morto

un rinomato

beone artigiano.

E portano

rottami funebri di versi

di precedenti

funerali

senza niente cambiare.

Nel tumulo

ottuse rime

conficcano come paletti –

ma è così

che un poeta

si deve onorare?

A voi

un monumento non hanno fuso ancora, -

dov’è,

di bronzo sonante

o di granita fattura? –

e nei recinti della memoria

già

hanno portato

di dediche

e di ricordi la lordura.

Il vostro nome

sbavano nei fazzolettini,

la vostra parola

insaliva Sobinov

e intona

sotto una marcia betulla –

“Non una parola,

o ami-ico mio,

non un sospi-i-i-i-ro”

Ah,

parlare in altro modo

con questo

Leonid Lohengrinyč!

Alzarsi qui

come rombante attaccalite:

- Non permetterò

di balbettare

e storpiare i miei versi! –

Rintronarli

con un fischio

a tre dita

alla nonna

e a Dio all’anima alla madre!

Per spazzar via

l’incapace gentaglia,

gonfiando

loro

le vele delle giacche,

perché

preso dal panico

Kogan scappi via,

i passanti

ferendo

con le picche dei baffi.

La lordura

finora

si è poco diradata.

C’è molto da fare –

occorre sbrigarsi.

La vita

bisogna

prima rifarla,

e rifatta –

la si può decantare.

Questo tempo –

è difficile per la penna,

ma ditemi

voi,

mostri e storpiati,

dove,

quando,

quale grande ha mai scelto

una strada

più battuta

e più facile?

La parola

comanda

la forza umana.

Avanti!

Che il tempo

dietro di noi

scoppi come cento granate.

Dei vecchi giorni

il vento

ricordi

soltanto

le chiome arruffate.

Per l’allegria

il nostro pianeta

è male attrezzato.

Bisogna

strappare

la gioia

ai giorni che verranno.

In questa vita

morire

non è arduo.

Vivere

è assai più complicato.

 

1926

 

(Versione di Paolo Statuti)

 

Vladimir Majakovskij e Sergej Esenin – due grandi poeti in continuo dissidio tra loro, e non poteva essere diversamente: il primo – membro fondatore del LEF (Fronte di Sinistra delle Arti), cantore del proletariato, definito il “gigante fragile”, devoto in amore, modesto e costumato nei rapporti umani, rivoluzionario autentico che si batteva per la libertà totale dell’individuo da ogni oligarchia; il secondo – geniale poeta contadino che non tollerava rivali, “eroe” della bohème moscovita, sfrenato bisessuale con una vita turbolenta e disordinata come pochi…

L’atteggiamento negativo di Esenin verso Majakovskij è stato sottolineato da diversi letterati della cerchia di quest’ultimo. Il critico e storico della letteratura V.B. Šklovskij, ad esempio, afferma che «a Esenin non piaceva Majakovskij e strappava i suoi libri, se li trovava in casa». Il poeta V.S. Roždestvenskij definisce «strani» i rapporti tra i due poeti: «C’era tra loro una ostilità che non si attenuava mai. Per Majakovskij Esenin era un evidente “male lirico”. Polemizzando con quest’ultimo e con il suo entusiastico uditorio, giudicava con ironia

gli incontri poetici del rivale. L’irascibile ed estremamente permaloso Esenin non glielo perdonò mai». Ed ecco una testimonianza del poeta proletario N. Poletaev: «Una volta, durante un ricevimento presso la Casa della Stampa, a capodanno, dopo aver abbondantemente bevuto, Esenin importunava Majakovskij, gridandogli quasi piangendo: «La Russia è mia, capisci? – mia, e tu…tu sei americano! La Russia è mia!» Al che Majakovskij rispose tranquillamente: «Prego, prendila pure! Mangiala col pane!»

Non è un segreto per nessuno che Majakovskij si riteneva un genio, e di conseguenza considerava la creazione degli altri poeti, inclusi i classici della letteratura russa, con un certo disprezzo. Alcuni li criticava apertamente, altri li derideva, altri ancora li tacciava di grafomani, in quanto le loro opere non avevano alcun valore per le generazioni future. Nei confronti di Esenin il suo atteggiamento era assai controverso, riconosceva in lui il talento letterario, ma non poteva accettare la mancanza di idee e di principi in questo “rinomato beone artigiano”, ritenendo che Esenin avrebbe dovuto usare il suo ingegno non per descrivere le bellezze della natura russa, ma per il bene della rivoluzione.

Malgrado ciò, dopo la tragica morte di Esenin, Majakovskij riesaminò il suo giudizio sulla vita e la creazione del poeta contadino, tanto che nella primavera del 1926 scrisse la famosa poesia “A Sergej Esenin”, da cui emergono sentimenti diversi: rammarico, costernazione, comprensione…Non intendo fare qui un’analisi di questa poesia, mi limiterò quindi a richiamare l’attenzione sulla strofa finale, che è una polemica parafrasi delle famose parole  dell’ultima poesia di Esenin: «In questa vita morire non è nuovo,/ma più nuovo non è neanche vivere”. Quando Majakovskij scrisse questa poesia la versione ufficiale della scomparsa di Esenin era il suicidio, ed egli non poteva prevedere che un giorno essa sarebbe stata messa in dubbio. Egli era convinto che Esenin si fosse tolto volontariamente la vita, perché non aveva saputo trovare il suo posto nella nuova società. Oggi, dopo la pubblicazione dei documenti della GPU, dove risulta che il poeta sarebbe stato assassinato, anche l’autenticità della celebre lettera scritta da Esenin col proprio sangue, in mancanza dell’inchiostro, prima di morire, viene messa in discussione, e si pensa che sia stata architettata per avvalorare la tesi del suicidio. Esenin con la sua vita sregolata, con le sue critiche al potere sovietico, con la sua rabbia per quanto riguardava la popolazione contadina che si sentiva delusa e tradita dalla rivoluzione – era diventato un personaggio molto scomodo per il regime. Del resto, alcuni particolari relativi al corpo appeso al tubo del riscaldamento, fanno propendere per la tesi dell’omicidio: la mano era in una posizione innaturale, come se avesse cercato di sollevarsi per non essere strozzato, il laccio non era ben stretto, i graffi sul braccio destro e una contusione sotto l’occhio sinistro, farebbero pensare a una disperata colluttazione con i suoi sicari, anche se probabilmente era ubriaco. L’autopsia rivelerà inoltre che la spina dorsale era spezzata, come se qualcuno gli avesse afferrato le gambe e lo avesse titaro giù con forza mentre era appeso.

E il “suicidio” di Majakovskij? Sospetti e mistero hanno sempre circondato la sua morte. Secondo la tesi più credibile, egli fu istigato al “suicidio” dalla polizia politica di Stalin, se non si trattò invece di un vero e proprio omicidio. Il regista Aleksandr Dovženko, che era con Majakovskij alla vigilia della morte, ricorda: «Eravamo seduti insieme in giardino, tutti e due abbattuti, lui spossato dalle nullità, dai ruffiani, dai cannibali e dagli speculatori…» Con i suoi attacchi ai burocrati che, a suo avviso, “strangolavano” la rivoluzione, nel 1930 Majakovskij aveva perso del tutto i precedenti favori del regime staliniano. Tra le altre cose resta un mistero la pistola fornita al poeta dalla GPU. Egli ne fu sorpreso e voleva restituirla, ma gli agenti insistettero perché la tenesse, facendogli capire che tali erano le “disposizioni”. In conclusione Majakovskij e Esenin, due poeti rivali così diversi tra loro, per ironia della sorte furono accomunati da una morte simile.

Ma quanti altri poeti russi sono morti tragicamente! E’ incredibile quanti abbiano risposto al mio lugubre appello:

 

Kondratyj Ryleev, decabrista, impiccato nel 1826, 31 anni

Aleksandr Griboedov, trucidato a Teheran nel 1829 da fanatici musulmani, 34 anni

Aleksandr Puškin, morto in un duello-farsa nel 1837, 38 anni

Michail Lermontov, morto in duello nel 1841, 27 anni

Nikolaj Gumiljov, fucilato nel 1921, 35 anni

Sergej Esenin, suicidio-farsa nel 1925, 30 anni

Vladimir Majakovskij, suicidio-farsa nel 1930, 37 anni

Nikolaj Kljuev, fucilato nel 1937, 53 anni

Sergej Klyčkov, fucilato nel 1937, 48 anni

Pavel Vasil’ev, fucilato nel 1937, 27 anni

Nikolaj Olejnikov, fucilato nel 1937, 39 anni

Piotr Orešin, fucilato nel 1938, 51 anni

Boris Kornilov, fucilato nel 1938, 31 anni

Osip Mandel’štam, morto in un gulag nel 1938, 47 anni

Marina Cvetaeva, morta suicida nel 1941, 49 anni

Michail Golodnyj, morto nel 1949 in un incidente automobilistico, 46 anni

Nikolaj Rubcov, ucciso nel 1971 dalla fidanzata, 35 anni

 

Come spiegarlo? Perché i poeti – è comprensibile. Essi sono più sognatori, impressionabili, irrazionali delle altre persone. Cioè – più vulnerabili. Ma perché proprio i poeti russi? Non c’è nessun altro paese in cui tanti poeti siano deceduti di morte violenta. A mio avviso si possono individuare tre cause. La prima è politica: la crudeltà dei regimi zarista e sovietico, responsabili direttamente o indirettamente. La seconda è psicologica. Qualcuno ha scritto: «L’anima del poeta è irrazionale. L’anima russa è irrazionale. L’anima del poeta russo è dunque doppiamente irrazionale». La terza causa è fatale, cioè è voluta da un tragico fato che come una maledizione agita le sue nere ali sulla poesia russa.

 

   Paolo Statuti

 

(C) by Paolo Statuti



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