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Vogliamo essere amati come amiamo noi. [L'arte di ascoltare i battiti del cuore]

Creato il 09 luglio 2014 da Achiara84 @madamaAly

Vogliamo essere amati come amiamo noi. [L'arte di ascoltare i battiti del cuore]

A Kalaw, una tranquilla città annidata tra le montagne birmane, vi è una piccola casa da tè dall’aspetto modesto, che un ricco viaggiatore occidentale non esiterebbe a giudicare miserabile. Il caldo poi è soffocante, così come gli sguardi degli avventori che scrutano ogni volto a loro poco familiare con fare indagatorio. Julia Win, giovane newyorchese appena sbarcata a Kalaw, se ne tornerebbe volentieri in America, se un compito ineludibile non la trattenesse lì, in quella piccola sala da tè birmana. Suo padre è scomparso. La polizia ha fatto le sue indagini e tratto le sue conclusioni. Tin Win, arrivato negli Stati Uniti dalla Birmania con un visto concesso per motivi di studio nel 1942, diventato cittadino americano nel 1959 e poi avvocato newyorchese di grido… un uomo sicuramente dalla doppia vita se le sue tracce si perdono nella capitale del vizio, a Bangkok. L’atroce sospetto che una simile ricostruzione della vita di suo padre potesse in qualche modo corrispondere al vero si è fatto strada nella mente e nel cuore di Julia fino al giorno in cui sua madre, riordinando la soffitta, non ha trovato una lettera di suo padre. La lettera era indirizzata a una certa Mi Mi residente a Kalaw, in Birmania, e cominciava con queste struggenti parole: “Mia amata Mi Mi, sono passati cinquemilaottocentosessantaquattro giorni da quando ho sentito battere il tuo cuore per l’ultima volta”.

 

Il titolo di questo romanzo è tutto un programma.

Uno di quelli che all’inizio ti fa pensare di essere capitata in un “polpettone zen”, senza speranza di uscirne.

Quando però inizi a leggerlo, fai un viaggio. Nel cuore dei protagonisti, in Birmania, in un altro mondo e in un altro modo di vedere la vita. E la perdita. E soprattutto l’amore.

Julia Win parte alla ricerca del padre. E in questo viaggio capisce che in realtà non ha mai conosciuto questo padre, l’uomo di cui le parla U Ba sembra suo padre ma allo stesso tempo non lo è.

Com’è possibile che abbia vissuto accanto a un uomo sconosciuto per tanto tempo? Che si sia fatta rimboccare le coperte, raccontare le favole (favole birmane, senza lieto fine ma tanto dolci), portare in giro per Staten Island e sui traghetti da un uomo di cui neanche le persone più vicine conoscevano il passato?

Quel passato che in Birmania le viene raccontato, la spinge a riaprire gli occhi. A non guardare solo con quelli, perché “l’essenziale è invisibile agli occhi”. Lo dice il Piccolo Principe, e lo dice U May.

E sì, si affronta la perdita. La perdita di sé stessi, di quella parte di sé che non si arrende all’amore, che non lo comprende. Che lo considera superfluo.

E la perdita delle persone più care, a cui non siamo mai abbastanza preparati.

E alla fine più nulla può spaventarti.

Ci sono ferite che il tempo non sana, ma che rende così piccole da consentirci, alla fine, di continuare a vivere.

 


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