Vogliamo una legge come quella di Zapatero

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

Oggi, mentre molti di noi sono in vacanza, magari proprio all’estero, proviamo a guardare oltre i confini del nostro paese, guardiamo all’Europa. Cosa stabilisce la legge nel resto della UE, in materia dell’uso del corpo della donna nei media e nella pubblicità?

Un libro di Caterina Soffici uscito di recente dal titolo “Ma le donne no. Come si vive nel paese più maschilista d’Europa” ci dà un quadro sintetico e chiaro della situazione.  Secondo il rapporto dell’EASA (European Advertising Standards Alliance) stilato nel maggio del 2008, che, appunto, mette a confronto le diverse legislazioni e i regolamenti di autodisciplina pubblicitari in vigore nella UE con particolare riferimento alle discriminazioni di genere, questa è la situazione:

in Austria, oltre ad un organismo di autocontrollo, c’è una “Legge per il trattamento paritario” che stabilisce, tra le altre cose, che non si possono usare parti nude del corpo femminile per pubblicizzare prodotti che non siano direttamente correlati;

in Belgio vigilano addirittura due autorità, una per la lingua francese e una per il fiammingo. La legge richiede una particolare attenzione ai messaggi dove si usa il corpo umano senza alcun legame oggettivo e soggettivo con il prodotto commercializzato. Lo stesso concetto appare nella legislazione ceca, in quella finlandese e in quella slovacca;

in Francia si dedica un intero capitolo agli stereotipi sessuali, di genere e razziali e si scrive esplicitamente che la pubblicità non può ridurre la persona umana, e in particolare la donna, a un oggetto;

riferimento al genere fanno anche i codici di autocontrollo in Germania, Ungheria e Irlanda, mentre in Polonia e in Olanda si proibiscono in modo sommario discriminazioni tra uomo e donna nella rappresentazione commerciale del corpo umano.

La legislazione più avanzata è quella svedese, dove si proibisce in maniera esplicita la visione vecchio stile dei ruoli sessuali e si condannano gli stereotipi.

In Gran Bretagna ci sono ben 3 enti preposti al controllo preventivo dei messaggi: uno per la stampa, cinema, mail e media in generale, uno solo per la televisione e uno solo per la radio.

Un discorso a sé merita la Spagna, dove la pubblicità sessista è illegale e la proibizione è inserita nella legge che si intitola “Misure di prevenzione contro le violenze di genere”. Si tratta della prima legge fatta approvare dal leader socialista Zapatero il 28 dicembre 2004.

Il titolo di questo post “Vogliamo una legge come quella di Zapatero” non è altro che il titolo di una petizione seguita da una raccolta firme cominciata nel 2008 e mai conclusa (l’obiettivo era di 5000 firme e per il momento si è arrivati solo a 421).

Tra le misure prese dalla legge di Zapatero contro la violenza alle donne, c’è infatti quella che recita “La pubblicità che utilizzi il corpo e l’immagine della donna in forma discriminatoria o vessatoria sarà qualificata come illecita e conseguentemente sanzionata”.

Torniamo adesso a guardare la situazione dell’Italia. Noi non abbiamo un primo ministro come Zapatero. Noi abbiamo un presidente del consiglio che non solo non ha fatto niente per le donne, ma che anzi, negli ultimi trent’anni, ha fatto di tutto per educarci, attraverso le sue televisioni, alla dittatura della bellezza, della giovinezza e della sessualità, e che è riuscito ad assuefarci al corpo della donna usato come puro ornamento o per vendere qualunque tipo di oggetto.

A  chi sottovaluta il lavaggio del cervello che ci ha fatto il signor Berlusconi, vorrei ricordare che comprovati studi scientifici sulla mente umana hanno constatato che se un messaggio arriva martellante sulla corteccia cerebrale, uomini e donne saranno portati a ritenere le false credenze come vere e quindi a farle proprie.

Ma adesso è arrivato il momento di svegliarci e di riprenderci da questa involuzione culturale della quale fanno le spese principalmente le donne. Ce lo chiedono i tragici numeri delle donne italiane vittime di violenze sessuali, ce lo chiede l’ONU che ci ha dato due anni di tempo per fare qualcosa di concreto, ce lo chiede persino il presidente della repubblica Napolitano, che un anno fa aveva mandato un messaggio alla presidente del Comitato per le pari opportunità Mirella Ferlazzo, in cui manifestava tutta la sua preoccupazione per le donne italiane: “E’ evidente che la comunicazione di un’immagine della donna che risponda a funzioni ornamentali o che venga offerta come bene di consumo offende profondamente la dignità delle donne italiane. Non solo: questo stile di comunicazione nei media, nelle pubblicità, nel dibattito pubblico può offrire un contesto favorevole dove attecchiscono molestie sessuali, verbali e fisiche, se non veri e propri atti di violenza anche da parte di giovanissimi. Bisogna educare i giovani al rispetto della donna. Non intendo entrare nel merito degli strumenti pratici da voi proposti, ma è certamente importante che si ponga un argine a questo dilagare della tendenza alla sottovalutazione o all’aperto disprezzo della dignità femminile, educando fin dall’infanzia i giovani al rispetto delle donne, le ragazze a pretenderlo e ancor di più i ragazzi a esprimerlo”.

Meditiamo sul da farsi e, a partire da settembre, agiamo!!



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