Conosciamo oramai abbastanza bene due fenomeni piuttosto diffusi nel mondo editoriale: le Eap e il self-publishing. Mi permetto in ogni caso un piccolo ripasso che mi servirà come premessa.
Dicesi Eap una -chiamiamola così- casa editrice che pubblica libri in cambio di un corrispettivo economico. Il succo è questo anche se -le monelle- dopo un “tana” gridato da più parti, si sono ingegnate in modi e forme diverse tra cui vorrei ricordare: l’acquisto obbligatorio di un numero prestabilito (e non esiguo) di copie da parte dell’autore, l’acquisto obbligatorio di altri libri in catalogo da parte dell’autore, la richiesta di denaro per la correzione di bozze, e via esigendo.
Insomma, autore caro, il tuo talento è concreto e tangibile… guarda, è proprio lì, ma come dove? lì, in tasca, dove tieni il portafogli!
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Con self-publishing, o più maccheronicamente auto-pubblicazione, ci si riferisce invece a coloro i quali danno, in senso tecnico, il proprio libro alle stampe attraverso piattaforme all’uopo realizzate, pagandone i costi in prima persona e occupandosi poi da soli di sponsorizzazione e distribuzione. Nulla di male, mi viene da aggiungere. Ce l’hai con gli editori e con gli agenti letterari? Credi di poter fare meglio? Ti senti un genio letterario incompreso? Fai come ti pare.
Però un attimo, tu stai scegliendo, e voglio poterlo fare pure io. Innanzitutto io sono non contraria ma contrarissima alle Eap e, in cambio, cerco per quanto possibile di sostenere le piccole vere case editrici. Mi documento, consulto le liste di Eap, ne parlo con altri come me interessati all’argomento, eppure alcune sfuggono alla conoscenza. Se le tiri in ballo sostengono la legittimità della loro politica, ma preferiscono decisamente tenerla per sé. Insomma, io lettrice o seguo i grandi nomi che sono una certezza (si spera), oppure spalleggio un fenomeno che trovo odioso, un vero e proprio ricatto. Gli autori per giunta spesso mentono: se gli chiedete direttamente se hanno pagato, molti di loro giureranno, fin sul letto di morte, di non averlo fatto. Lungi da me qualsiasi volontà punitiva, ma sarà pure mio diritto conoscere con chi o cosa mi sto interfacciando?
In secondo luogo, invece, può capitarmi tra le mani un prodotto auto-pubblicato, non rivisto, non revisionato, non corretto. Veri abomini lessicali e sintattici che mi rubano tempo e denaro, o comunque ne rubano a chi si fida e affida a canali come Lulu e Ilmiolibro. Da qui la mia riflessione, nata dopo aver letto un interessante quanto divertente articolo di Obbrobbrio: http://obbrobbrio.blogspot.it/2013/11/i-dieci-tipi-piu-comuni-di-self-autori.html
Se spesso i consigli che si trovano in rete hanno come referente il malcapitato di turno che si affida, tapino, alle grinfie di mangiasoldi è fuor di dubbio che la stessa preoccupazione non è estesa al lettore. Ci si affida alle recensioni su Amazon, tanto spesso fittizie, al passaparola, sovente forzato, e si incappa in testi di dubbio gusto, dubbia qualità e dubbia grammatica: sì, dubbia grammatica e dubbi svolgimenti narrativi. Vi pare possibile che io debba spendere soldi per correre alla ricerca del condizionale perduto, dell’accento mancato o del personaggio che ora c’è ora non c’è più? A me no. Con ciò non voglio affatto stigmatizzare chi decide di fare da solo, non tutti sono capre; tuttavia non ritengo che pubblicare un proprio manoscritto sia un diritto: non tutti sono scrittori. E se tu invece la pensi diversamente da me sei libero di fare ciò che ritieni più opportuno, ma consenti la stessa cosa a me. La soluzione mi è apparsa, dopo la lettura dell’articolo di Obbrobbrio, come un lampo di definitiva chiarezza.
Ti invito, cara Eap, e faccio lo stesso con te, autore auto-prodotto, ad apporre sul tuo capolavoro un bollino, un’avvertenza che mi dichiari con che genere di prodotto ho a che fare. Credo che in tal modo ne guadagneremmo tutti: le Eap che potranno confermare di credere sul serio alla legittimità del loro operato, lo scrittore self che vedrà diminuire il rischio di essere criticato a prescindere per colpa dei suoi pari e io, l’ultima ruota del carro, ma di sicuro più necessario per voi di quanto voi lo siate per me, il lettore.