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In un Paese dove tutto, a partire dagli appalti, “gira intorno ad associazioni, conoscenze, consorterie” (parole del costruttore Riccardo Fusi, indagato nell’ambito dell’inchiesta “Grandi Eventi”, intervistato dal “Corriere della Sera”), non stupisce che se non sei “vecchio”, o ben introdotto, non vai proprio da nessuna parte.
E’ dopotutto il Paese dei “grandi vecchi che non mollano mai la poltrona“, per dirla con il giornalista Curzio Maltese, che in un bell’articolo ha tracciato un deprimente ritratto del giorno in cui il Governo Berlusconi ha chiesto la fiducia: al timone un 74enne – in politica da 16 anni. Rileva Maltese, persino l’immortale Andreotti a quell’età aveva tirato i remi in barca. Dall’alto vigilava Gianfranco Fini, un uomo che da 17 anni “medita sul modo di succedere a Berlusconi alla guida di una moderna destra“. Davanti, i capi dell’opposizione, gente “in pista da venti o trent’anni“. E per non limitarsi alla sola politica (che già basterebbe), Maltese ha ricordato come in finanza domini un ragazzo del 1935, tal Cesare Geronzi. Strano che qualcuno non abbia riproposto Guido Carli. Ah, già… è deceduto quasi vent’anni fa. “E chissà come mai sempre più giovani fuggono da questa Italia verso l’estero“, annota Maltese. “Approdano in terre bizzarre, come la Gran Bretagna, dove il premier è più giovane di Pier Silvio, e i ministri potrebbero essere i nipoti del nostro Primo Ministro. Sbandano vero la Germania o la Scandinavia, dove i fondi per la ricerca negli anni di crisi sono stati aumentati, e infatti l’economia è ripartita“.
Come dar torto, a questi giovani? Certo, basterebbe accendere ogni tanto la tv la domenica sera, e picchiare la testa contro il muro dopo cinque minuti di visione di “Report”, programma che una settimana su due ci sbatte in faccia gli intrecci di potere della Penisola, con persone che occupano contemporaneamente almeno dieci incarichi. Mediocri, che spesso non hanno neppure una minima infarinatura relativa al lavoro che svolgono, ma che proprio per questo diventano snodi fondamentali di un sistema di potere dove il merito non conta.
Tuttavia, se proprio vogliamo andare sulle cifre, è sufficiente analizzare l’ultimo rapporto Unioncamere, citato da “Il Sole 24 Ore”, dove si mette nero su bianco che “le opportunità di carriera per gli under 30 crollano drasticamente“. Per Unioncamere, la presenza dei giovani all’interno del variegato mondo dei sei milioni di imprese italiane appare sempre più “leggera“. “Leggera” è forse un eufemismo, quando leggiamo i dati: gli amministratori “under 30″ nelle imprese italiane risltano quest’anno pari a 167.260, contro i 289.474 di dieci anni fa. Anche il calo percentuale è drastico: dal 10,2% al 4,4%, meno della metà! Dimezzata o ridotta a un terzo la loro percentuale nel settore dei servizi (dal 15,6% all’8,6%), delle costruzioni (dal 9,3% al 4,3%), della sanità (dal 10,1% al 4,3%), dell’istruzione (dal 9% al 3,3%). Il crollo è trasversale: dalla ricca Lombardia (dove sono passati al 9% al 3,4% in dieci anni), fino alla Sicilia (dal 12,5% al 5,6%). Unica sorpresa: in Calabria la loro percentuale supera la misera media nazionale (7,2% contro il 4,4%).
Passando dal lavoro dirigenziale a quello dipendente, le cose non migliorano: già abbiamo raccontato in un precedente “post” dell’inchiesta de “La Stampa”, che fissava a oltre 50% la quota di giovani che trovano lavoro grazie a parenti e conoscenti. Roba da Terzo Mondo. Persino l’italianissimo “Corriere d’Italia”, un giornale realizzato dalla nostra comunità di espatriati in Germania, se ne è accorto: “Giovane, o conosci qualcuno o te ne vai all’estero!”, questo il titolo di un articolo recentemente comparso online. Un articolo che sfata il mito della maggiore meritocrazia nei concorsi da ricercatore universiatrio, rivisti con una legge dello scorso anno. Perché i blog online riescono ancora ad azzeccare in anticipo numerosi futuri vincitori? E perché tanti commissari esterni (oltre 300) si dimettono? “Le reti parentali impediscono lo sviluppo. I giovani migliori ma senza protezione devono lasciare il Paese“, osserva Mauro Montanari, autore dell’articolo.
Senza protezione presente e futura, verrebbe da aggiungere: ha fatto molto scalpore, ma solo tra i più attenti (figurati se ne parlava il Tg1…) la recente dichiarazione del presidente dell’Inps Antonio Mastropasqua. Secondo il quale, “se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale“. Dichiarazione gravissima, poiché riguarda centinaia di migliaia di giovani -da anni- senza impiego stabile. Loro, secondo simulazioni indipendenti, si troveranno a percepire pensioni da 700 euro mensili (per gli uomini) e da 400-550 euro (per le donne). Altre simulazioni (Boeri-Galasso) estendono la forbice tra i 638 e i 1052 euro mensili, con l’aggiunta di un’età pensionabile che sarà raggiunta solo intorno ai 67 anni. Viene da chiedersi quanto salirà, tra circa 30 anni, il livello di povertà in Italia. Moltissimo. I soliti noti avranno già saccheggiato tutto. Lasciando in eredità ai giovani d’oggi un Paese povero. Molto povero.
Non che ora ce la passiamo poi così bene: l’”esoterica” Banca d’Italia (per riprendere un aggettivo usato dal Ministro del Lavoro Sacconi), ha segnalato che la disoccupazione reale nel Belpaese -includendo Cig e “scoraggiati”- ha raggiunto quota 11%. Il tasso di disoccupazione giovanile, ha aggiunto Via Nazionale, è di tre volte maggiore. Ovvio che al Governo questi dati non piacciano. Non li vedono in televisione, quindi non esistono. Invece sono l’amara realtà.
Facciamoci due risate, per chiudere: Riccardo Chiaberge su “Il Fatto Quotidiano “segnala come l’intellighenzia culturale e scientifica nostrana, quando si riunisce, dimentica (che strano!) di invitare i più giovani. La linfa vitale del sistema. Il risultato è un bel convegno geriatrico, dove l’ultima idea buona partorita da quelle menti risale probabilmente a 40 anni fa. Intanto il mondo va avanti. E i nostri giovani, quelli migliori, scappano.