I Void Of Sleep rappresentano al meglio la voglia di mettersi in gioco e di forzare i confini tra generi, il tutto senza prefissarsi punti di arrivo o dotarsi di una rotta già stabilita. Date le premesse, non ha sorpreso ritrovarli accasati presso la Aural Music, da sempre attenta a scovare proposte interessanti e dotate di una personalità spiccata, così come non ha colto alla sprovvista il debutto sulla lunga distanza, un album costruito su brani in grado di imprimersi in mente sin dal primo ascolto, salvo poi svelare al loro interno un dedalo di sfaccettature quasi mai scontate e spesso sorprendenti. In attesa di osservarli dal vivo in occasione del release party al Bronson, abbiamo deciso di rivolger loro qualche domanda.
Iniziamo con il presentare la band. Come vi siete incontrati e da che esperienze precedenti provengono i Void Of Sleep?
Gale: Ci conosciamo tutti da quasi quindici anni. Sai… Ravenna è una città piccola e la gente che suona non è così tanta, quindi almeno di vista ci si conosce tutti. Io e Allo abbiamo iniziato a suonare insieme nei Conspiracy (poi Conspiracy A.D.) nel ’99, il nostro secondo concerto in assoluto lo abbiamo fatto di spalla ai Big House Burning, nei quali suonava Burdo sempre nel ’99 e il nostro primo ep ce l’ha registrato Paso, e anche questo accadeva nel ’99!
Nel vostro universo sonoro entrano in gioco elementi differenti e spesso eterogenei, per cui mi viene spontaneo domandare se ciascuno ha portato le sue idee in sala prove, per poi amalgamarle insieme, oppure se vi siete seduti (magari davanti ad una birra) e avete pianificato come muovervi prima di cominciare a suonare…
Gale: Non c’è nulla di pianificato nella nostra musica, quando ho reclutato gli altri per formare la band gli ho parlato di un progetto stoner-rock che non doveva essere come molti la copia sbiadita dei Kyuss, ma poi, provando insieme, è venuto fuori questo sound – come dici giustamente tu – eterogeneo. Di sicuro, c’è da dire che tutti e quattro siamo fondamentali per quello che è il nostro suono, ognuno porta idee in sala prove ma si lavora tutti insieme, è capitato che pezzi nascessero spontaneamente da jam improvvisate in saletta e poi sviluppate oppure è capitato che qualcuno sia arrivato alle prove con un pezzo già strutturato ma che poi abbiamo “smontato” e riassemblato tutti insieme.
Nel descrivervi ho paragonato la vostra attitudine a quella di formazioni distanti come suoni, ma in qualche modo collegate per la voglia di andare oltre gli usuali canoni in voga oggi. Mi riferisco a Supocrisy, At The Soundawn e Viscera///. Vi riconoscete in questa descrizione?
Gale: Forse è così ma questa attitudine è del tutto naturale, mi ripeto ancora: non c’è nulla di voluto a priori, non ci siamo mai imposti di dover fare la band alternativa, quelli che vogliono essere diversi a tutti i costi… Anzi, ti dirò che forse si sente quando una band non è naturale ma si sforza di cercare di essere ciò che non è!
Paso: Il paragone che hai fatto ci inorgoglisce molto: personalmente At The Soundawn e Sunpocrisy sono tra le mie band preferite e da cui traggo una grossa ispirazione sia a livello musicale che concettuale. Oltre a questo c’è da dire che ho avuto la fortuna di collaborare con loro e da questa collaborazione ne è scaturita pure una bella amicizia. Credo che questo, in un modo o in un altro, si senta all’interno dei nostri cd. I Viscera/// per ora non li conosco bene, ma non vedo l’ora di sentirli, mi hai incuriosito troppo!
Ho anche utilizzato il termine “non scena”, un’espressione vaga a indicare il disinteresse a rientrare in una casella “sonora” ben precisa, quasi a spostare il piano dal suono al modus operandi e all’approccio. Idea del tutto bislacca?
Paso: Ma speriamo che non sia un idea bislacca! Credo che sia il più bel complimento che ci abbiano mai fatto! Speriamo che questa “non-scena” continui a produrre e prolifichi il più possibile. E mi permetto di sbilanciarmi in un pronostico: era da tempo che non c’erano in Italia cosi tante belle realtà musicali, sono fiducioso nel pensare che a breve vivremo una bella era per la musica alternativa italiana e consegneremo qualche altro nome alla storia dopo PFM, Area e Raw Power.
Chi altri fareste rientrare in questa ipotetica entità? Con chi vi trovate a vostro agio nel dividere palchi e situazioni? Quali credete siano le realtà più interessanti in giro oggi?
Gale: Ci sono un sacco di band interessanti in Italia e in tanti generi, credo che la qualità sia molto più alta di qualche anno fa infatti anche all’estero credo se ne siano accorti visto che molte band italiane sono sotto contratto con ottime etichette straniere. Penso anche ai Nero di Marte che hanno firmato per Prosthetic proprio nei giorni scorsi.
La complessità e la ricchezza della scrittura non vi impediscono di ricercare una forma canzone capace di farsi ascoltare. C’è una pulsione a far coesistere due tendenze opposte, una ad aggiungere e una al mantenere comunque una linea ben definita all’interno del pezzo. Vi va di darmi la vostra opinione in proposito?
Gale: È vero, decisamente, e benché anche questo non sia una cosa ricercata in partenza, credo sia il nostro punto di forza. Mi spiego: ci sono canzoni come “Ghost Of Me” che è in 7/8 o “Sons of Nothing” che è in 5/,4 quindi tempi dispari. Abbiamo canzoni che variano metrica e metronomo durante l’esecuzione, ma sono appunto canzoni: hanno strofe, bridge, ritornelli e special, non facciamo puro esercizio, è tutto funzionale. Non abbiamo mai deciso di infilare un tempo dispari perché fa figo oppure una parte psichedelic-prog per far vedere che sappiamo suonare, anche perché non siamo di certo una band che fa virtuosismi!
A fianco di una robusta base stoner/desert rock si notano molte altre componenti, prog, post(core o metal, scegliete voi), psichedelia, spesso utilizzate per dare colore e spezzare l’andamento “dritto” della scrittura. A questo punto sono curioso di sapere cosa vi ha formato musicalmente e quanto siete ancora appassionati ascoltatori oltre che musicisti.
Gale: Ognuno dentro la band ha avuto il suo percorso. Io posso dirti di essermi “formato” con i dischi di mio babbo quindi principalmente rock e prog 70’s (Zep, Pink Floyd, Jethro Tull e King Crimson su tutti), poi da ragazzino mi sono innamorato dei GN’R e dei Metallica per spostarmi in seguito su cose più estreme in ambito metal e hardcore, ma ho sempre ascoltato di tutto. Per quanto riguarda la passione posso dirti che non ascolto tanta musica nuova ma ne ascolto sempre molta.
Burdo: Sì, anch’io ho avuto la fortuna di crescere assieme a un fratello maggiore che è un vero fanatico dell’hi-fi e da ragazzino in casa mia giravano continuamente vinili di Pink Floyd, Jethro Tull, Genesis… a dire il vero in quel periodo non apprezzavo tantissimo, perché a quell’età, come spesso succede, si è legati a generi più estremi, ma ho ben presto capito e apprezzato la fortuna di avere determinati dischi in casa, al punto che dopo tanti anni mi sono riattrezzato con giradischi e quant’altro. Comunque, anche i nostri “soci” la vedono allo stesso modo, Paso è appassionatissimo della scena prog italiana degli anni ’70/’80 (tipo Area o PFM) e anche Allo studia e ascolta spesso batteristi come Gavin Harrison dei Porcupine Tree.
Per quanto concerne i testi, chi se ne occupa e che tipo di argomenti li influenzano? Quanto peso ha l’aspetto lirico nell’economia della band?
Burdo: Dei testi me ne occupo io, mi viene naturale, non sono un cantante “tecnico” e ho bisogno di “sentire” e interpretare molto quello che canto. Il fatto di scrivere mi aiuta molta ad entrare nel mood giusto. In questo disco mi è piaciuto scrivere degli aspetti della mente umana, considerando soprattutto quelli più oscuri, negativi e nascosti: parlo di depressione, frustrazione, disperata ricerca di verità e riscatto da se stessi, ma anche di follie e di sogni lisergici e molto “epici”. L’ispirazione mi è venuta in primis da me stesso, ci sono diverse parti che mi riguardano, momenti non proprio positivi della mia vita, ragionamenti derivati da fasi di depressione, come per esempio nella canzone “Ghost Of Me”, e anche ricordi mattinieri di sogni “allucinanti” fatti la notte dopo una serata come dire “un po’ movimentata”, come nel caso di “Giant Stone Man”. Per il resto direi che traggo l’ispirazione dal mondo che ci circonda: non viviamo in anni propriamente sereni e luminosi. Chissà, magari nel prossimo lavoro cambierò angolazione… vedremo!
L’album esce per Aural Music, come è nata questa collaborazione? Conoscevate già Emi e le sue passate esperienze con Miskatonic University e Boundless Records?
Gale: Emi lo conoscevamo certamente per essere stato il cantante dei Miska e per la Boundless, ma credo che con code666 e Aural abbia fatto e stia facendo un lavoro super, partire dal nulla e creare una label del genere, soprattutto in Italia, per me è incredibile. Per quello che riguarda la collaborazione, posso dirti che Emi si è mostrato da subito interessato ai Void Of Sleep. Appena messo online il promo Giant & Killers Ep ci ha contattato dicendoci che era un ottimo lavoro e che probabilmente quando avremmo registrato l’album ci avrebbe fatto una proposta, cosa che poi si è avverata. Quando ho avuto il master da Paso gli ho mandato una copia digitale tempo tre ore ci ha offerto un contratto, ci abbiamo pensato su un po’ ed abbiamo deciso che firmare sarebbe stata la scelta migliore.
Che cosa credete sia rimasto a Ravenna di quell’esperienza particolare e di quegli anni? Ve lo chiedo perché credo sareste stato il gruppo perfetto per uscire con la Boundless, di cui sembrate condividere la natura di outsider di cui parlavamo in apertura.
Gale: Non credo sia rimasto molto, tanti membri di quelle band non suonano più, alcuni sì ma hanno totalmente cambiato genere, forse per tanti era solo una moda, non saprei dirti onestamente, magari la gente ha altre priorità. Io so che non mi ci vedo senza una band, continuerò a suonare per molto tempo ancora.
Burdo: Sì, sono d’accordo, per molti è stata una moda, per altri un modo per appagare il proprio egocentrismo, ma per altri ancora è e rimane una passione, credo che dalla Ravenna Hardcore degli anni ’90 sia uscito anche del bene dal punto di vista artistico in generale, magari alcuni non suonano in una band ma hanno intrapreso un lavoro che riguarda comunque quel tipo di cultura, io personalmente devo moltissimo a Willo, chitarrista dei famosissimi, a Ravenna, Search, che ora è uno stimato fonico live: prima di iniziare a suonare andavo alle loro prove ed è stato a forza di vedere lui che poi ho cominciato. Spero di finirci assieme, tra molti anni, a suonare del blues!
Presenterete l’album al Bronson (altro puntino da unire a quanto appena detto), vi va di darci tutti i dettagli del caso? Avete già in programma altre date per promuovere il disco?
Gale: Volevamo fare una bella festa nella nostra città, in un locale con un bel palco e un bell’impianto la scelta Bronson è venuta da sé, anche perché non ci sono altri locali a Ravenna con simili requisiti. Il Release Party si terrà venerdì 18 gennaio, suoneremo per intero la scaletta del disco, prima di noi come ospiti suonerà una delle migliori band italiane, gli Hierophant: sicuramente hanno un sound molto diverso dal nostro ma ci piacciono ed abbiamo voluto invitarli. Inoltre, preferiamo serate eterogenee a quelle con bill di tre-quattro gruppi che fanno lo stesso genere. Poi, suoneremo il 15 febbraio a Trieste con gli Ornaments e per ora non abbiamo altre date fissate, speriamo di trovarne presto delle altre e soprattutto di organizzare un tour anche breve in giro per l’Europa.
Grazie mille per il vostro tempo, vi lascio le conclusioni e la possibilità di aggiungere eventuali cose su cui non mi sono soffermato.
Gale: Grazie a te Michele per lo spazio che ci concedi e anche per la bella recensione! Un saluto ai lettori di The New Noise, e un consiglio anche se banale: supportate la musica in generale e soprattutto l’underground italiano, andate ai concerti e comprate i dischi!
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