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Voleva una vita spericolata (2). Leonard Cheshire e la sua opera.

Da Paolotritto @paolo_tritto

Illustrazione di Charles E. Turner

(Continua dalla Prima parte)

Leonard Cheshire e gli allievi che frequentavano la scuola di Stowe erano spesso invitati a recarsi in un campo di aviazione vicino, dove qualche pilota si offriva di far provare l’ebbrezza del volo. Il giovane Leonard, futuro pilota bombardiere, stranamente non era interessato a questo genere di esperienze. Ma forse la cosa lasciò in lui ugualmente un segno. Tra l’altro, come fa notare Richard Morris nel suo libro Cheshire, in quella scuola c’erano i figli di due dei progettisti di quello che sarà il suo aereo preferito, il leggendario Mosquito, ciò che poi Leonard chiamerà “The queen of wartime aircraft”.

Nel 1936 Leonard Cheshire passò al Merton College di Oxford. Si è discusso su questo periodo della sua vita: delle sue presunte intemperanze e del fatto che il curriculum dei suoi studi poteva essere migliore. Ma indubbiamente gli anni universitari furono, complessivamente, più critici di quelli trascorsi a Stowe. A Oxford, Leonard non trovò una figura di riferimento come quella di J.F. Roxburgh. I rapporti con le autorità del college non erano buoni. Non apprezzava il preside e i docenti. Del suo soggiorno in quella città universitaria ricordava di non aver ricevuto altre opportunità se non quelle di guidare automobili veloci, di farsi confezionare abiti di lusso e di mettere alla prova il suo talento nel campo dello spettacolo. Sebbene, a questo proposito, si rammenti soltanto una scialba apparizione in una messa in scena dove egli, reggendo una sigaretta con la mano, doveva limitarsi a mostrarsi sul palcoscenico con i capelli tirati indietro. La parte era tutta qui. Per qualche mese comunque andò a lezioni di danza, mettendoci tutto il suo impegno. Secondo suo fratello, si era messo in testa di diventare come Fred Astaire. Leonard stesso confessò: «C’era in me, penso, il sentimento che un giorno sarei diventato qualcuno; e mi comportavo come se già fosse successo».

I soldi che riceveva dai genitori, ovviamente, non erano sufficienti a reggere un simile tenore di vita. In questo non somigliava affatto a mamma Primrose, così attenta al bilancio familiare. In compenso, della madre condivideva la passione per i viaggi all’estero. In questo periodo, Cheshire andò a trascorrere una vacanza estiva a Potsdam in Germania, presso la famiglia di Ludwig von Reuter, un ammiraglio della marina tedesca ai tempi della Prima guerra mondiale. Leonard era andato a stare da lui col desiderio di imparare la lingua tedesca – aveva già una grande padronanza di quella francese – e di visitare Berlino e altre città, oltre che per fare un po’ di sport in compagnia dei figli dell’ammiraglio.

Purtroppo, non gli fu facile sottrarsi agli interminabili racconti del vecchio von Reuter sulla sua partecipazione alla Grande Guerra. Ancora più imbarazzante era stare ad ascoltare le sue discutibili teorie. L’ammiraglio, infatti, cercava di convincere Cheshire che “solo il cinque per cento dell’umanità è produttiva”, che la restante parte del genere umano è formata da esseri “inferiori” e che era opportuno che una nuova guerra facesse un po’ di piazza pulita di queste eccedenze. Il giovane Leonard, temprato alla scuola di Stowe, esprimeva il suo disaccordo con fermezza. L’occasione comunque gli giovò, oltre che all’apprendimento della lingua tedesca, anche perché gli fece aprire gli occhi sulla pericolosità delle idee naziste. Una consapevolezza che ancora pochi inglesi, in quel tempo, avevano maturato. Non conosciamo quali legami avesse la famiglia Cheshire con l’ammiraglio von Reuter, il quale era un personaggio a dir poco singolare e tutt’altro che affidabile, l’uomo che, terminata la guerra, umiliò l’Inghilterra con un’incredibile beffa. Passò alla storia per uno degli episodi più clamorosi di tutta la Prima guerra mondiale. A Scapa Flow, in acque inglesi, quando erano ormai definitivamente cessate le ostilità, mentre era già in vigore l’armistizio e qualche giorno prima della firma del Trattato di Versailles, ordinò l’autoaffondamento della flotta tedesca: in tutto, colarono a picco una cinquantina di navi. Voleva essere una forma di protesta contro il Trattato di pace, ritenuto inaccettabile per l’onore tedesco.

Oltre al soggiorno a Potsdam, Cheshire fece un altro memorabile viaggio all’estero. Quando, con soltanto dieci scellini in tasca, andò a Parigi e tornò. Raggiunse la capitale francese guadagnandosi da vivere con lavori di giardinaggio. Chissà se ne valesse veramente la pena: si trattava di una scommessa fatta con amici per un solo bicchiere di birra. Ma – si sa – gli inglesi, per una scommessa, farebbero questo e altro ancora. Altrettanto stravagante fu l’idea di raggiungere l’Irlanda con l’autostop. Quando questo pioniere degli autostoppisti giunse a destinazione, qualcuno – non si sa perché – gli chiese di accompagnarlo in chiesa. Nell’intervista ad Alenka Lawrence, Leonard Cheshire raccontò questa esperienza che poi si rivelerà determinante nella sua vita: «La chiesa – era una chiesa cattolica – mi lasciò una profonda impressione. Uscendo mi dissi: “Qui c’è qualcosa di reale: è diversa da ogni altra chiesa in cui sono stato”, e questo sentimento m’indugiò dentro per molto tempo. Allora non l’approfondii, ma mi restò nella memoria».

Era questo lo stesso Leonard che a Stowe mostrava insofferenza di fronte alla religione? Possiamo dire soltanto che qualcosa stava cambiando nel giovane Cheshire. Basti pensare che quel ragazzo, un tempo disinteressato al volo aereo, adesso si esaltava durante le esercitazioni presso l’Oxford University Air Squadron. Sì, qualcosa stava veramente trasformando la sua vita. Infatti, furono le circostanze esterne a fare di Leonard Cheshire quello che fu, non certamente una personale ambizione. Anzi, per lui essere pilota bombardiere rappresenterà, banalmente, il modo di evitare di finire in cavalleria oltre a «una liberazione dalla fatica intellettuale» cui era costretto a sottoporsi nel college di Oxford. Soprattutto, era l’unica possibilità che aveva di fare la guerra standosene seduto.

Scrive Richard Morris nella biografia di Cheshire: «L’addestramento al volo aveva luogo ad Abingdon, non lontano da Grey Walls [la casa di famiglia], dove Cheshire si era spesso soffermato a osservare gli arrivi e le partenze dei biplani della squadriglia, quegli Avro Tutor con le caratteristiche fragili ali. In una giornata di febbraio del 1937 – era mattina presto e l’aria pungente – egli decollò e vide che la prospettiva si era invertita. Dalla cabina decappottata dell’Avro Tutor poteva vedere sotto di sé il suo giardino di Grey Walls, oltre a una mezza dozzina di contee: la vicina Oxford, più in là il fitto bosco di Wychwood e, ancora oltre, il Cotswolds; poi, a sud, il White Horse di Uffington sul pendio delle colline del Berckshire e a est la grande nuvola di fumo che saliva da cinque milioni di camini».

Se in quegli anni qualcosa era cambiato in Leonard Cheshire, anche nel mondo intero erano accaduti eventi sconvolgenti. Da questo momento, attorno a Cheshire, non ci saranno più automobili veloci, ragazzi che impazziscono per Fred Astaire, campi da tennis. Ci sarà la guerra e ci sarà il suo aeroplano. Il 13 maggio 1940, Winston Churchill, parlando alla Camera dei Comuni, non prometterà altro al suo popolo che “sangue, sofferenze, sudore e lacrime”. In sostanza, il primo ministro mobilitava il Paese alla guerra contro la Germania nazista. Disse: «Combatteremo in Francia, combatteremo sui mari e sugli oceani, combatteremo nei cieli, combatteremo sulle spiagge, combatteremo nei campi e nelle strade, combatteremo sulle colline, noi difenderemo la nostra isola a ogni costo, noi non ci arrenderemo mai!»

Esattamente un mese dopo, per Leonard Cheshire, queste parole diventeranno realtà. Il 10 giugno del ’40, Benito Mussolini, affacciato al balcone di Palazzo Venezia, dichiarava guerra alla Gran Bretagna e alla Francia. Urlò: «Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria». Appena 24 ore dopo, i bombardieri della RAF si alzavano in volo per raggiungere Torino, il primo obiettivo italiano. Gli italiani scopriranno ben presto cosa, in realtà, batterà nel cielo della patria in quegli anni. Proprio in quel momento Leonard Cheshire diveniva operativo nella RAF. Ma non farà parte della missione italiana. Manifesterà un certo disappunto per non essere stato tra i primi a bombardare l’Italia. Quel giorno, purtroppo, il suo equipaggio era a riposo e comunque egli allora aveva al suo attivo appena 48 ore di volo notturno, troppo poche per poter prendere parte a una difficile missione come quella in Italia, posta a una considerevole distanza dalla base e che prevedeva di sorvolare le Alpi – non è semplice attraversare montagne così alte a una quota molto elevata, quando si ha l’aereo appesantito dal carico delle bombe.

Cheshire si preparava esercitandosi ad affrontare le situazioni più estreme, azionando per esempio i comandi dell’aereo a occhi bendati; voleva essere sicuro di essere capace di combattere anche al buio più completo, di notte – perché la RAF usciva di notte – nel caso fosse rimasto danneggiato l’impianto elettrico di illuminazione. Dicevano che la sua era follia. E in effetti c’era come qualcosa che si impossessava di lui e che lo spingeva ad andare, “come l’anatra va all’acqua”. «Adoravo volare» scriveva Cheshire in Bomber pilot, «e fui un discreto pilota perché mi davo anima e corpo al mestiere che avevo scelto. I pericoli del combattimento mi eccitavano fino all’esaltazione. In tal modo, la guerra mi fu facile».  

La sua era una vita spericolata. Era spregiudicato; non soltanto quando era a bordo del bombardiere. Un giorno, mentre ritornava in caserma, aveva ottenuto un passaggio in automobile da una ragazza dai capelli rossi che poi era andata via senza lasciare tracce. «Mai, credo, mi è capitato di vedere una ragazza così bella». Come fare per rintracciarla? «Telefono alla polizia per avere il nome di una rossa proprietaria di una Delage con la targa BFX102. Molto gentilmente, mi mandano al diavolo. Ne provo una delusione violenta che mi incita a spremermi il cervello in cerca di una soluzione. E la trovo. È facile. Vado in città e sporgo denuncia contro il conducente di una Delage BFX102, per eccesso di velocità commesso nelle prime ore di venerdì scorso. In effetti, non sono molto lontano dalla realtà. Il risultato è sorprendente. Ci incontriamo in un piccolo ufficio del commissariato di polizia, in cui vengo a conoscenza dei particolari più interessanti. Si chiama Maxine, senza fissa dimora». Ovviamente, la furbizia di Leonard viene smascherata subito e per lui la situazione si fa decisamente imbarazzante. Rischia di essere denunciato per oltraggio alla polizia e per molestie. Fortunatamente per lui, quel giorno al commissariato non hanno tempo per occuparsi di questioni meno gravi di un delitto. Mentre Leonard ritira la denuncia, la povera Maxine, mostrando di non dar molto peso all’affronto subìto, gli domanda: «Desiderate un passaggio?» La risposta dello sfacciato Leonard è disarmante: «Sì, per favore».

In combattimento, per colpire il bersaglio, Cheshire si portava sulla zona del bombardamento e si lanciava in picchiata sull’obiettivo. Cabrava per riprendere quota soltanto nell’ultimo istante prima che l’aereo si schiantasse al suolo. Grazie a questa tecnica si poteva colpire con una precisione impensabile a quei tempi. Spesso, avvicinandosi alla zona del bombardamento, spegneva i motori e procedeva planando, piombando silenziosamente sull’obiettivo nemico. Pensava così di sorprendere la contraerea. Rischiò grosso davvero: non sapeva che i tedeschi disponevano già del radar per le intercettazioni. Giudicarono il suo comportamento patologico; per i medici si trattava di un caso clinico: è privo del senso della paura, dissero. Ma si può sostenere questo di un uomo che aveva terrore perfino di montare in groppa a un cavallo?

Questo pilota bombardiere che aveva avuto un’iniziale riluttanza verso il volo aereo e che aveva preferito prestare servizio nell’aeronautica soltanto per non finire in cavalleria e per starsene seduto in poltrona, alla fine della guerra avrà collezionato 102 missioni in territorio nemico. Non è questo soltanto un record, è una cifra che misura lo spessore del suo coraggio. In media, durante le incursioni sulla Germania, dopo venti voli, l’indice di sopravvivenza scendeva a zero. Leonard Cheshire superò di gran lunga questo limite. Meritò il più alto riconoscimento militare inglese, la Victoria Cross, assegnata solitamente alla memoria per atti di estremo coraggio “di fronte al nemico”.

La sua capacità di colpire con estrema precisione l’obiettivo – come si è detto – era straordinaria per quei tempi. Quando doveva bombardare una fabbrica, per esempio, riusciva a risparmiare le circostanti abitazioni degli operai. Ma, per quanto possa sembrare paradossale, tutto ciò non era in sintonia con la strategia della RAF, soprattutto una volta che al Comando Bombardieri si era insediato il maresciallo Arthur Harris, un teorico del terrorismo. Per Harris il bombardamento di precisione, per quanto potesse essere eseguito con successo, non era sufficiente a piegare il morale della popolazione, particolarmente quello degli operai dell’industria bellica, proprio quelli che Cheshire cercava di risparmiare. Erano necessarie, dunque, azioni più propriamente terroristiche. Gli inglesi svilupparono, a questo proposito, due agghiaccianti modalità di bombardamento, il cosiddetto “moral bombing”: la “tempesta di fuoco” (firestorm) e la distruzione delle dighe. A queste, si aggiungerà poi la bomba atomica, alla realizzazione della quale si applicavano gli americani. Il firestorm consisteva nel sottoporre una città a un bombardamento con bombe incendiarie talmente intenso da attivare un unico braciere, grande quanto l’intera città, all’interno del quale le fiamme si autoalimentavano – qualcosa di più apocalittico della stessa bomba atomica. La distruzione delle dighe fu invece affidata al 617° stormo della RAF, i Dambusters, i “distruttori delle dighe”.

Quello assegnato al 617° fu uno degli obiettivi strategicamente più rilevanti del secondo conflitto mondiale: l’inondazione delle produttive valli della Ruhr. Anche qui si trattava di bombardare a bassissima quota, fino a sfiorare il pelo dell’acqua dei bacini in modo da imprimere alle “bombe a rimbalzo” un’insolita traiettoria orizzontale. Le bombe, rotolando sulla superficie dell’acqua, andavano così a colpire gli sbarramenti delle dighe. Il colonnello Cheshire prenderà il comando del 617° nel settembre del ’43, dopo aver partecipato alle operazione di “moral bombing” sulle città tedesche che erano iniziate il 30 maggio ’42 a Colonia. Annota Cheshire in Bomber pilot: «Quando appare Colonia, a bordo si fa un improvviso silenzio. Se dobbiamo credere ai nostri occhi, la città non esiste più. Un rapido sguardo verso il Reno. Non ci siamo sbagliati: è proprio Colonia, e sta bruciando come nessuna città al mondo ha mai bruciato. Con essa, sta andando in cenere il morale dei civili tedeschi».

Non sarà meno terrificante l’esito delle azioni dei Dambusters che provocheranno nelle valli del Reno inondazioni disastrose. Furono azioni assolutamente spettacolari; ogni azione terroristica, del resto, deve essere anche necessariamente spettacolare. Curiosamente, al mondo dello spettacolo ci si ispirò per trovare alcune soluzioni tecniche. Per esempio: come ottenere con precisione assoluta la distanza dell’aereo dal pelo dell’acqua del bacino che si voleva bombardare? Gli altimetri, purtroppo, non garantivano la precisione richiesta. Fu durante uno spettacolo teatrale che, osservando il gioco dei riflettori sulla scena, si trovò la risposta a questo importante interrogativo; nel momento in cui la luce proiettata da due fari dell’aereo bombardiere, opportunamente distanziati, convergeva sulla superfice dell’acqua si era all’altezza ideale per sganciare la bomba – pochi centimetri di differenza avrebbero compromesso la possibilità di lanciare gli ordigni su una traiettoria orizzontale. I danni provocati dall’abbatimento delle dighe furono incalcolabili, sia termini di vite umane sia per quanto riguarda l’industria bellica. Da questo punto di vista, le incursioni dei Dambusters non potevano avere un esito migliore. Tanto che un entusiasta Arthur Harris affermò: «È mia intenzione utilizzare questa squadriglia per compiti speciali anche in futuro».

(Seconda parte. Continua)

Per saperne di più

Leonard Cheshire è autore di numerosi libri. Oltre questi, sono da segnalare:

Richard Morris, Cheshire: The Biography of Leonard Cheshire, VC, OM. Penguin Books Ltd, 2001. (In lingua inglese)

Alenka Lawrence, Leonard Cheshire. C’è Dio in tutto questo? Edizioni San Paolo, 1994. (In lingua italiana)


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