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Voleva una vita spericolata (5). Leonard Cheshire e la sua strada.

Da Paolotritto @paolo_tritto
Voleva una vita spericolata (5). Leonard Cheshire e la sua strada.Volantino americano. Avvertimento ai giapponesi del bombardamento atomico*

(Continua dalla Quarta parte)

Per il pilota bombardiere Leonard Cheshire la guerra poteva dirsi definitivamente conclusa con il conferimento della Victoria Cross, la più alta onorificenza militare. Clamorosamente, però, qualcosa avrebbe spinto il pilota a ricomparire sul campo di battaglia e a rimescolare la carte della sua vita "in modo assai drammatico", come disse rispondendo ad Alenka Lawrence che lo intervistava per il libro C'è Dio in tutto questo? "Accadde l'8 o il 9 luglio 1945, non ricordo la data esatta. Mio fratello Christopher, durante la guerra, al ritorno da un'incursione su Berlino, era stato abbattuto e fatto prigioniero. La notizia del suo rimpatrio mi arrivò mentre ero in sevizio a Washington". Appena seppe della liberazione del fratello, Leonard si precipitò in Inghilterra. "Così tornai per quattro giorni - di più non potevo - e passai le sere in festeggiamenti. In una di queste occasioni ci trovammo in cinque o sei in un pub di Mayfair. Per un qualche motivo il discorso cadde sulla religione, e a me l'argomento sembrò del tutto inappropriato per la circostanza". E invece, inappropriato non sarebbe stato alla luce dei fatti che stavano per accadere in quello che sarà l'ultimo mese della Seconda guerra mondiale. Qualcuno, comunque, gli aveva messo tra le mani un libro che avrebbe potuto chiarirgli le idee: Le lettere di Berlicche di Clive S. Lewis.

Ritornato a Washington, Cheshire fu convocato per un colloquio segretissimo da lord Maitland Wilson, un generale inglese grande e grosso che tutti scherzosamente chiamavano "Jumbo". Al termine del colloquio col potente generale, come disse, "rientrai nel mio ufficio, dove gli altri due ufficiali in servizio interruppero il loro lavoro, aspettandosi che dicessi qualcosa. Sapevano che nessuno del mio rango era mai stato chiamato direttamente dal capo, dunque dovevano esserci guai o decisioni drammatiche. Senza parlare, feci loro un cenno con la testa, raccolsi le mie carte, chiusi la scrivania e uscii. Non sarei mai più tornato in quella stanza". Leonard Cheshire finì in una segreta base militare americana, senza permessi di uscita e senza sapere perché lo trattenessero, in attesa di essere convocato da qualcuno. "Mi avevano dato una scheda perforata" disse, "spiegandomi che quando questa avesse fatto scattare una certa macchina, allora sarei stato convocato". Per il resto, Leonard passerà il suo tempo a scartabellare noiosamente dei dossier; e questa fu come una mortificazione per lui che amava la vita movimentata.

Racconta Leonard che quando era stato introdotto nel "sancta sanctorum" di lord Maitland Wilson, questi "si alzò dalla sedia, con mia grande sorpresa, e mi strinse la mano calorosamente. Poi mi invitò a sedermi e mi disse che gli Alleati avevano inventato una bomba atomica. Così, bruscamente". Quindi il generale gli chiese se sapesse cosa fosse una bomba atomica; mostrò un'espressione di sollievo quando si sentì rispondere: "No, sir, non ne so niente". A questo proposito, infatti, Leonard non sapeva altro di ciò che gli era capitato di apprendere nel corso di una conferenza dove si prendeva in considerazione l'ipotesi che l'energia atomica potesse essere utilizzata per eventuali viaggi interplanetari e per sostituire altre fonti energetiche come il petrolio. Ma circa la bomba atomica, propriamente, non sapeva nulla. Il generale cominciò allora a spiegare il funzionamento di questa nuova arma - non molto meglio però, come commentò Cheshire in The face of victory, di quanto "uno studente possa spiegare la teoria della relatività ai suoi compagni di classe".

Il generale, comunque, volle illustrare qualche altro dettaglio sulle modalità di sganciamento della bomba e simulò, con le sue grosse mani, l'impatto che l'arma avrebbe avuto sul bersaglio, battendo violentemente il palmo sulla scrivania "come un elefante schiaccia il ponte di una barca, e premendo fino a quando il portapenne, il calamaio e altri oggetti non fossero tornati alla loro normale statica. Capii allora perché l'avessero soprannominato "Jumbo"". La potenza sprigionata dalle mani del generale bastò a rendere l'idea dei micidiali effetti di un bombardamento atomico.

La notizia che gli alleati disponessero della bomba atomica provocò il lui un vero shock. Si può immaginare, quindi, cosa possa aver provato quando il generale Maitland Wilson gli annunciò che il Giappone sarebbe stato sottoposto a bombardamento atomico e che lui stesso avrebbe partecipato all'attacco. "Per la prima volta" disse Cheshire, "cominciai a pregare". Fu allora che il suo pensiero tornò su quel libro che gli era stato dato al pub di Mayfair e che aveva quel titolo strano: Le lettere di Berlicche. Era un libro che consisteva "per quanto ho potuto vedere, in una specie di regolamento per dei giovani demoni scritto dal loro comandante in capo; andava ben oltre la mia comprensione, a dir poco, ma leggendolo ho avvertito che provocava in me una certa inquietudine. Allora cominciai a domandarmi se, nella vita, non ci siano più cose di quelle che si riescono a vedere, a toccare o a calcolare con un calcolatore". Maitland Wilson però richiamò severamente la sua attenzione: "Ora andrai al Pentagono per un ragguaglio tecnico più preciso. E sei tenuto alla segretezza assoluta".

Arrivò finalmente l'attesa convocazione: doveva presentarsi dal generale americano Leslie Richard Groves, direttore del Progetto Manhattan, il programma che aveva portato alla realizzazione della bomba atomica. Poco dopo, Leonard Cheshire si ritrovò sull'isola di Tinian, dell'arcipelago delle Marianne, nel mezzo dell'oceano Pacifico e assegnato al 509° Gruppo Composito delle forze aeree americane che, a bordo delle superfortezze volanti B29, avrebbe dovuto sganciare le bombe atomiche sul Giappone.

Il 509° era un'unità militare talmente segreta che, per fare un esempio, una volta capitò che all'arrivo dei B29, il generale che comandava la base si avviò a bordo di una jeep verso uno degli aerei bombardieri per un'ispezione. Racconta nel suo diario Fred J. Olivi, uno dei membri del Gruppo: "Quando la guardia vide che il generale si stava avvicinando gli intimò di fermarsi: gli ordini erano ordini! Il generale non faceva parte del 509° e non era autorizzato a proseguire. Dopo un vivace scambio di battute, intimò all'aviere che avrebbe fatto meglio a togliersi dai piedi perché lui, visto il rango che ricopriva, sarebbe salito su quel B29. L'aviere tolse la sicura al suo fucile e puntò l'arma all'altezza dell'intruso: era pronto a sparare! Ordinò al generale di desistere nelle sue intenzioni perché altrimenti avrebbe fatto fuoco". Non si era mai visto che un aviere desse ordini a un generale dell'aviazione! Per il deplorevole comportamento dell'aviere l'alto ufficiale corse a protestare con il generale Paul Tibbets che comandava il 509°. Ma fu inutile; Tibbet non prestò ascolto alle proteste, anzi aggiunse: "Generale, se lei avesse continuato ad avanzare verso il B29, sono sicuro che quell'aviere avrebbe fatto fuoco".

Cheshire fu spedito a Tinian come un pacco postale, stipato su un aereo colmo di ogni genere di bagagli, casse e imballaggi. Anche la sistemazione sull'isola fu a dir poco spartana: una tenda con un letto da campo era tutto ciò di cui si disponeva, in condizioni igieniche veramente precarie e, purtroppo, senza nemmeno un attendente che avesse cura di dare la sveglia al mattino - quest'ultima sembrò a Cheshire una cosa veramente scandalosa.

Già un anno prima che giungessero i B29 del segretissimo 509° Gruppo Composito, le truppe americane avevano conquistato l'isola, strappandola all'esercito nipponico. Nonostante ciò, circolava voce che un certo numero di irriducibili soldati giapponesi si nascondesse ancora in alcune cavità del sottosuolo isolano; ma era un'ipotesi che sembrava inverosimile in considerazione delle ridotte dimensioni dell'isola, in buon parte occupata dall'aeroporto militare. Eppure, l'arrivo a Tinian del "segretissimo" Gruppo americano fu addirittura annunciato nel corso della consueta trasmissione disfattista tenuta alla radio giapponese dalla "Rosa di Tokyo", pseudonimo di una cittadina americana che si chiamava Iva Toguri D'Aquino e che lavorava per il nemico. Anche in questo caso, qualcuno sostenne che a informare la "Rosa di Tokyo" fossero stati i soldati giapponesi nascosti nelle caverne dell'isola; comunque, la cosa sconcertò quanti credevano nell'efficienza dell'apparato di sicurezza americano.

Probabilmente è stata sovrastimata la presenza di soldati giapponesi nascosti nel sottosuolo di Tinian, ma era un fatto che l'eventualità di arrendersi al nemico non era ammessa dal codice etico dell'esercito nipponico e che i soldati ritenevano preferibile addirittura la morte alla resa. Gran parte dei giapponesi infatti, contro ogni evidenza, continuavano a credere nella vittoria finale, convinti che Dio fosse dalla loro parte e che non avrebbe tardato a scagliare la sua fatale collera contro i nemici dell'impero del Sol Levante. Nel libro-intervista C'è Dio in tutto questo? Leonard Cheshire ricorda: "Avendo avuto una piccola parte nell'équipe incaricata di progettare l'invasione del Giappone, io so che l'unico modo di metter fine alla guerra con le armi convenzionali era di sbarcare nel Paese e debellarne completamente le forze nazionali di difesa. I giapponesi erano sotto il controllo d'una cricca militare fanatica, che s'era votata alla conquista dell'intera Asia sudorientale; che considerava i civili dei cittadini di seconda classe; e che vedeva nella resa non solo il massimo dei disonori, ma la peggiore delle disgrazie. La parola "resa" non figurava neppure nel codice militare; si doveva combattere fino alla morte o compiere l'hara-kiri, il suicidio rituale giapponese. [...] Pertanto gli americani avevano assolutamente ragione nell'esigere la resa incondizionata. Potevano consentire che sopravvivesse l'imperatore, ma non il sistema imperiale; in quanto era lì che i militari attingevano il loro potere. Essi affermavano che l'imperatore era un dio, e che perciò qualunque cosa facessero in suo nome era giusta".

Fu con l'idea di colpire il potere ideologico che diceva di trovare il suo fondamento nello shintoismo, assurto a religione di Stato, che i bombardieri del 509° Gruppo dovevano alzarsi in volo. L'argomento religioso, che Leonard Cheshire aveva ritenuto inappropriato nella discussione al pub di Mayfair, se lo ritrovava di fronte in tutta la sua drammaticità.

Winston Churchill aveva ottenuto dal comando americano che due osservatori partecipassero al bombardamento atomico come osservatori delegati dal governo inglese. Potrebbe sembrare marginale, in questo tipo di operazione, il ruolo dell'osservatore; invece, tutto l'effetto deterrente della bomba atomica, che avrebbe esercitato un potere enorme nella storia del mondo da quel momento in poi, dipendeva proprio dai resoconti che sarebbero stati riportati circa quella terrificante esperienza. Oltre a Cheshire, anche un altro inglese, il fisico e matematico Bill Penney, fu inserito negli equipaggi dei B29 in qualità di esperto del Progetto Manhattan. Entrambi prenderanno parte alla seconda missione che sgancerà la bomba atomica su Nagasaki. Contrariamente agli accordi, però, i due inglesi non furono fatti salire a bordo dei B29 che sarà su Hiroshima il giorno 6 agosto 1945.

Nel libro Nagasaki, per scelta o per forza, pubblicato in Italia da FBE Edizioni, l'autore Fred J. Olivi, un pilota del 509°, racconta che in quel 6 agosto "a partire da mezzogiorno incominciammo a scrutare il cielo nella speranza di avvistare i B29 di ritorno da Hiroshima. Dopo pranzo i tre aerei preposti alla ricognizione metereologica atterrarono e, poco prima delle 15.00, anche l'"Enola Gay" poggiò il carrello sulla pista seguito dal "Great Artist" e dal "Numero 91". Non ricordo quanti andarono verso la pista per salutare gli equipaggi rientrati alla base ma penso un centinaio di persone: vidi più generali di quanti ne avessi incontrati in tutta la mia vita e c'era perfino un ammiraglio! Erano tutti attorno a Tibbets! Anche i fotografi lavorarono sodo, quel giorno. [...] In serata, dopo la cena al Club degli Ufficiali, potei finalmente intrattenermi con Albury e Beahan per parlare della missione. Se non ricordo male le prime parole di Beahan furono: "Fred, è roba da non credere! Non avevo mai visto nulla di simile! Non puoi nemmeno immaginare il disastro provocato da quell'esplosione. Sembrava una maledizione piovuta dal cielo... la città era scomparsa sotto un'enorme nube di polvere!". La testimonianza di Beahan mi colpì: ecco che il primo velo di segretezza, attorno alla potenza smisurata di quell'ordigno mostruoso, era stato sollevato".

Venne poi il momento della seconda missione. Programmata inizialmente per il giorno 11 agosto, fu anticipata di due giorni in considerazione delle previsioni meteo che, per quel giorno, segnalavano brutto tempo. Poco prima delle 4.00 della mattina del 9 agosto decollarono dalla base dell'isola di Tinian tre B29: il "Bockscar", armato con la bomba atomica, il "Great Artiste" e infine il "Big Stink" sul quale avevano trovato posto, tra gli altri, gli osservatori inglesi Penney e Cheshire. La giornata era iniziata poco dopo la mezzanotte, quando gli equipaggi erano stati convocati per un briefing, durante il quale fu detto che i B29 avrebbero dovuto dirigersi verso Kokura, che inoltre l'obiettivo secondario era stato individuato in Nagasaki e che non ci sarebbe stata una terza alternativa, in caso di fallimento delle operazioni sui bersagli designati. Furono date disposizioni affinché prima del bombardamento i tre bombardieri si incontrassero in un punto prestabilito, in modo da proseguire in formazione, e fu fissata la quota da mantenere durante il volo.

Nelle ore precedenti, altri aerei americani avevano inondato il Giappone di volantini con i quali si avvertiva dell'imminenza di attacchi dell'aviazione nel corso dei quali sarebbero state sganciate altre bombe atomiche. Con questi volantinaggi la propaganda americana si rivolgeva innanzitutto ai vertici militari: "Dopo la distruzione di Hiroshima con una sola bomba siete in grado di capire le spaventose conseguenze derivanti da quell'esplosione. Con il ricorso alla bomba atomica distruggeremo l'esercito che vuole prolungare la guerra. Gli Stati Uniti sperano che voi supplichiate l'Imperatore di concludere questo conflitto perché così non sarà più necessario sganciare altre bombe atomiche".

I volantini puntavano anche ad allarmare la popolazione: "Avviso al popolo giapponese! Evacuate subito la città! il contenuto di questo volantino è di vitale importanza per cui leggetelo con attenzione. Il popolo giapponese è in procinto di affrontare un autunno cruciale. Allo scopo di porre fine a questo inutile conflitto i tre paesi alleati hanno presentato ai vostri capi militari tredici articoli inerenti le condizioni di resa. Tale proposta è stata ignorata e, in conseguenza di ciò, è intervenuta l'Unione Sovietica. Gli Stati Uniti sono la prima nazione al mondo ad aver costruito una bomba atomica e sono fermamente decisi a impiegare questo terrificante ordigno. La potenza distruttiva di un solo ordigno atomico equivale a quella di duemila B29 carichi di bombe".

(Quinta parte. Continua)

Per saperne di più

*Volantino n. 2114 della propaganda americana, riprodotto nel volume di Fred J. Olivi, Nagasaki per scelta o per forza. Con prefazione di Alberto Angela. FBE Edizioni, 2006.

Leonard Cheshire è autore di numerosi libri. Oltre questi, sono da segnalare:

Richard Morris, Cheshire: The Biography of Leonard Cheshire, VC, OM. Penguin Books Ltd, 2001. (In lingua inglese)

Alenka Lawrence, Leonard Cheshire. C'è Dio in tutto questo? Edizioni San Paolo, 1994. (In lingua italiana)


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