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“Volevo nascere vento”: storia di un’adolescente che sfida la mafia

Creato il 16 aprile 2013 da Sulromanzo

Volevo nascere vento. Storia di Rita che sfidò la mafia, Andrea Gentile«La lotta alla mafia – diceva il magistrato Paolo Borsellino – non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, che coinvolga tutti, specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.»

Volevo nascere vento. Storia di Rita che sfidò la mafia, il romanzo di Andrea Gentile (Mondadori, 2012), racconta la mafia, le sue stragi, la lotta di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, attraverso la vita di una diciassettenne di Partanna, in provincia di Trapani. Rita Atria è una ragazza comune, ma che, in seguito a eventi dolorosi, tira fuori un grande coraggio e parla, dice tutto quello che sa sulla mafia. Si mette alla prova, fino a cambiare nome e città, anche grazie all’incontro con Borsellino, che lei chiama “zio Paolo”. L’affabilità e professionalità del magistrato trasformano la piccola Rita in una consapevole collaboratrice di giustizia. Nello scorrere delle pagine, Borsellino istruisce amorevolmente Rita e anche noi lettori su che cos’è la mafia, com’è nata, come opera.
Nonostante i suoi diciassette anni, Rita è forte, pronta per costruirsi una vita sua, ma non regge a un’ulteriore morte. L’eccidio di Capaci, nel quale perse la vita Paolo Borsellino con la moglie Francesca Morvillo e tutta la scorta, stronca anche il futuro di Rita: non ha più nessun punto di riferimento nella sua vita e decide di volare via come il vento, e vola, vola giù dal settimo piano del suo appartamento in via Amelia a Roma.

Andrea Gentile immagina la vita di Rita Atria, il suo pensiero, le sue emozioni, il suo modo di parlare. Narra di quando era bambina, di quando poi, diventata adolescente, comincia a comprendere i fatti di Partanna e della sua famiglia, in particolare di suo padre, don Vito, che lei vede come rassicurante e affettuoso e che in paese chiamano “il paciere” di Partanna.
Don Vito era padrino di vecchio stampo e, quando negli anni ‘80 Cosa Nostra passa al traffico di droga, al riciclaggio, all’infiltrazione nello Stato, si rifiuta di partecipare al cambiamento e, quindi, viene eliminato. Rita non comprende, è difficile accettare che suo padre sia stato un mafioso.

Sei anni più tardi, alcuni sicari giustiziano anche Nicola, il fratello di Rita, nella sua pizzeria, davanti agli occhi della moglie e della figlioletta. Il giovane, tormentato dal desiderio di vendicare il padre, fa una serie di errori e, non riuscendo a diventare né perfettamente mafioso né perfettamente onesto, ci rimette la vita.

Il romanzo adotta un linguaggio semplice, avvalendosi di metafore calzanti e incisive. Indaga nella storia mafiosa degli ultimi anni del ‘900 e ricorda le guerre tra cosche mafiose, i fatti di Corleone, dei Buscetta, di Totò Riina e del processo a Giulio Andreotti. Gentile compie un prezioso viaggio storico, utile anche se doloroso.
L’autore narra da un punto di vista nuovo: attraverso la vita privata, le emozioni, i sentimenti di chi ha vissuto quelle vicende. Allora, la mafia diviene veramente un “mostro” che distrugge chi le si avvicina, che stia dalla parte della giustizia o dalla sua.

Nel 1962, il giornalista e politico Michele Pantaleone scriveva: «I deputati eletti con i voti procurati dalla mafia potranno fare gli uomini di corrente di partito a Roma ed a Palermo, ma sui problemi di mafia dovranno manifestare la loro solidarietà a tutta l’onorata società. Con tale metodo, in tutti i tempi, la mafia è rimasta al di fuori dei giochi di corrente rimanendo sempre governativa: tale fu con Crispi, con Giolitti, con Di Rudinì, con Pella, con Orlando, con Mussolini, con De Gasperi, con Scelba, con Segni, con Tambroni, con Fanfani…».

Purtroppo oggi, dopo mezzo secolo, noi siamo ancora qui a continuare questa lista!

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