Eugène Delacroix: La libertà che guida il popolo (Museo del Louvre)
Ormai da decenni ho il vizio di appuntare, a mio uso e consumo, avvenimenti storici, dottrine filosofiche, teorie scientifiche e quant’altro colpisca la mia attenzione, in brevi saggi, racconti o tele, che riassumano quanto vado ogni giorno apprendendo. Così facendo, posso attingere a questi strani appunti che intasano la mia soffitta e il mio computer, rispolverando saltuariamente la mia memoria e, con essa, le mie antiche emozioni. Oggi, mettendo ordine tra le vecchie tele, ho trovato un quadro di notevoli dimensioni che dovrò pur finire una buona volta. Anzi credo che vi metterò mano proprio in questi giorni. Sulla tela le silhouette di sue notissimi personaggi: Rousseau e Voltaire che si guardano quasi in cagnesco. Eppure essi favorirono entrambi l’ importante evento della rivoluzione francese, che trasformò il suddito in cittadino, entrando, i due grandi, nel novero di quei filosofi che sono il simbolo dell’illuminismo francese.
Voltaire snello, elegante, sguardo pungete come le sue parole, abituato a frequentare i migliori salotti della nobiltà del tempo, finì col somigliare anche fisicamente ai sovrani cui si accompagnava. Federico II di Prussia, il Salomone del Nord, che lo ospitò per ben tre anni, si beava della sua compagnia ma aveva quasi lo stesso carattere graffiante, la stessa sete di sapere, la stessa maliziosa spregiudicatezza e arguzia tanto che i due finirono per litigare e Voltaire, dopo un ennesimo sgarbo, dovette fuggire dal suo mecenate. Ma nei salotti bene si trovava proprio a suo agio ed è da questi “pulpiti” che lanciava le sue pungenti missive. Mai, mai, si sarebbe trovato bene tra la folla, tra gli straccioni, i derelitti, i diversi.Tutto il contrario di Rousseau, faccia rubiconda ma untuosa, sensuale, occhi chiari, indefinibili, labbra carnose, l’immagine della lussuria, se così si può dire. E proprio nella folla Rousseau trovava il suo ambiente naturale, tra gli straccioni e gli scontenti e da qui lanciava le sue invettive contro i potenti che lo temevano e lo detestavano. Rousseau non avrebbe mai frequentato i salotti bene: forse lo intimorivano, forse era condizionato da un difetto anatomico che lo costringeva ad orinare in continuazione e nelle donne cercava protezione, un seno su cui piangere, un grembo su cui sfogare la sua prorompente sessualità tanto che si legò ad un’ ignorantella, certa Teresa Levasseur, da cui ebbe cinque figli che “depositò”nell’ospizio dei trovatelli senza mai più curarsene. Rousseau predicava un ritorno alle origini, alla natura, al sentimento, incolpando proprio la cultura di tutti i mali che affliggevano l’umanità. Questa sua convinzione gli valse un premio che l’Accademia di Digione gli conferì per un saggio sul problema:“Le arti e le scienze hanno conferito dei benefici all’umanità?”Forse perché le sue convinzioni erano diametralmente opposte a quelle correnti, forse perché un ritorno alle origini alberga sempre nei più profondi meandri dell’animo umano, fatto sta che vinse e s’impose all’attenzione di tutti. E la sua oratoria, a volte rozza e triviale, portata avanti nelle piazze, nei rioni, fra i frequentatori dei mercati generali, fece breccia nei cuori della gente, li preparò al grande evento, alla rivoluzione, con gli stessi meriti che i “filosofi” si conquistarono con la cultura. Ma quello che più conta in Rousseau è che dette inizio a quel grande movimento artistico e letterario che va sotto il nome di romanticismo o almeno ne fu il precursore.L’uomo è proprio un coacervo di sentimento e ragione, e Voltaire e Rousseau potrebbero ben rappresentare il primo il nostro emisfero sinistro, sede del raziocinio e del calcolo, il secondo il nostro emisfero destro, sede delle passioni, della fantasia, del sentimento. Io sono un tipo razionale, ho sul comodino molti scritti di Voltaire, ma non disprezzo Rousseau. Lo descrivo come era, geniale e bislacco ma, se non fosse stato così, forse oggi l’Europa non avrebbe conquistato la democrazia. Le rivoluzioni non si fanno nei salotti, ma nelle piazze e nelle piazze non ci andava l’elegante Voltaire, ci andava Rousseau che fu appunto complementare a quanto Diderot, Montesquieu e D’Alambert facevano negli ambienti colti della Francia del tempo.Il contratto sociale, l’Emilio e le Confessioni esercitarono una profonda influenza sulle teorie politiche e pedagogiche illuministiche, ma furono anche il primo germe di quel movimento romantico che avrebbe esaltato il sentimento e la passione partorendo uomini eccelsi sia in campo letterario che musicale e pittorico. Contesto semmai al preromantico Rousseau ed al romanticismo tutto, quella componente mistica che ancora permane negli ambienti clericali e che tende a tingere di miracolistico qualsiasi fenomeno ancora inspiegabile e che i cervelli razionali invece chiariscono con lo studio e la ricerca.Prima di Voltaire e Rousseau e nel periodo che va dal 1660 fino a loro, il mondo europeo era dominato dal ricordo delle guerre di religione e dalle guerre civili in Francia, in Inghilterra e in Germania ed anelava ormai alla calma, alla tranquillità, alla prudenza laddove l’intelletto serviva ad arginare il fanatismo e la barbarie e il galateo s’imponeva come segno di riconoscimento del vivere civile. Ma fu ancora una volta il sangue a dominare la scena.Per quanto l’ illuminismo fosse sorto in Germania ( AUFKLARUNG ), si sparse per tutta l’Europa attraverso il francese, che era la lingua parlata dalla gente colta nel settecento e che ben si prestava ad un taglio di frasi e parole acute e pungenti come una spada.Gli illuministi francesi, i filosofi, si erano equamente diviso i compiti:VOLTAIRE attaccava l’ingiustizia che regnava nella società del tempo: il clero, la corte, i vari funzionari governativi, erano il bersaglio della sua pungente ironia e chi incappava nelle stoccate della sua penna, quasi sempre ne usciva malconcio.MONTESQUIEU si dedicava ad analizzare le varie forme di governo ed insisteva sulla totale separazione dei vari poteri dello stato: il legislativo al parlamento, l’esecutivo al governo, l’interpretativo alla magistratura.(quanto giovamento trarremmo oggi da tali insegnamenti!)DIDEROT e D’ALEMBERT si dedicavano alla pubblicazione dell’enciclopedia suscitando la rabbia delle autorità francesi, che più volte si mobilitarono per tentare di sopprimerla, essendo essa, l’enciclopedia, lontana da quella ortodossia che regnava in quei tempi sia nello Stato che nella Chiesa. Nell’enciclopedia esprimevano le loro opinioni i massimi pensatori del secolo e lo stesso ROUSSEAU contribuì inizialmente alla sua stesura pur essendo la sua visione della vita diametralmente opposta alla fredda razionalità dei suoi colleghi filosofi. Gli argomenti trattati andavano dalla politica alla religione, dalle arti alle scienze ed erano così magistralmente espresse ed odoravano talmente di libertà di pensiero e d’opinione, da suscitare la rabbia soprattutto della Chiesa, che era stata per tutto il medioevo ed anche nel Rinascimento, l’unica depositaria della cultura che manipolava per suo conto ed a suo piacimento.Inutile sottolineare che le classi medie, i commercianti, gli arrampicatori sociali, gli avvocati vi attinsero a piene mani perché vedevano in quelle idee, la possibilità di partecipazione al potere, che fino ad allora era stata loro precluso.La fama dell’enciclopedia varcò i confini della Francia e copie delle pubblicazioni che si protrassero per più di vent’anni, giunsero nelle mani dei sovrani più illuminati d’Europa. Caterina di Russia, Federico di Prussia, Giuseppe II d’Austria, paventando le conseguenze di questi primi sussulti liberali, cercarono di modificare in senso democratico la dura gestione del loro potere.Ma sembra quasi che il genere umano sia incapace di lunghi periodi di pace e fu così che questi nuovi “valori ” che l’illuminismo aveva trasmesso anche ai romantici, trovarono uomini già stanchi della tranquillità appena acquisita, e l’umanità si trovò ancora una volta sommersa in bagni di sangue che, anche dopo la Rivoluzione francese, continuarono, col tornado Napoleonico, a saziare quel bisogno di eccitamento e di protesta che animava l’Europa intera.Bisogna dire per l’esattezza che, contemporaneamente al movimento romantico, che non aveva caratteristiche politiche o ambizioni di sovvertimenti sociali, sorgevano quei grossi movimenti politico-sociali come il radicale, il marxista, il liberista, che ancora influenzano i nostri giorni. Ma, seppure il movimento romantico non avesse a priori velleità rivoluzionarie, sebbene la sua “rivolta” interessasse frange sia riformiste che conservatrici, pure apportò conseguenze notevoli nella vita sociale e politica. Basti pensare al suo modo di porsi nei confronti del commercio e del libero scambio : l’uomo romantico, amante delle forti passioni ma anche della solitudine e dell’eremo, coltivava il suo campicello, meglio se ereditato da un povero genitore, diventava solitario, al più nazionalista. Possiamo in questo contesto citare Byron come manifestazione di un’endogamia che non risparmiò di contaminare Nietzsche, Wagner, addirittura Mazzini che, pur facendosi promotore di una fusione europea, sposando appieno le idee di Byron, si addentrava in un nazionalismo che avrebbe reso impossibile una cooperazione internazionale. Questa visione della vita che aborriva il capitalismo, lo scambio, il commercio, portava in se anche il germe dell’antisemitismo perché il popolo ebraico si riteneva depositario di queste tendenze esistenziali che il romanticismo combatteva.In ultima analisi, l’aspirazione del romanticismo era liberare l’uomo dai vincoli sociali, dalla morale tradizionale, dalle regole comuni esaltandone il soggettivismo. Ma presto i suoi adepti si dovettero rendere conto che esiste anche l’io degli altri con le stesse esigenze, le stesse ambizioni, gli stessi istinti e che l’alternativa alla vecchia morale poteva condurre solo all’anarchia o al il dispotismo. Ma l’uomo è un animale sociale, è divenuto tale attraverso secoli di evoluzione e, senza regole sociali, senza una buona dose di altruismo, egli è destinato a soccombere con buona pace di tutte quelle teorie che non considerano appieno la complessità dell’animo umano.