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Secondo gli ultimi dati diffusi dal Centro per le elezioni libere e la democrazia (Cesid), l'Sns ha ottenuto il 48,8% delle preferenze, surclassando nettamente il Partito socialista (Sps) del premier uscente Ivica Dacic che si è attestato al 14%. Solo altri due partiti avrebbero superato, e di un soffio, lo sbarramento del 5%: il Partito democratico (Ds), che avrebbe il 5,9%, e il Nuovo partito democratico, dell'ex presidente e già leader del Ds, Boris Tadic, al 5,7%. Fuori dal Parlamento, e anche questa è una notizia, restano i nazionalisti di Vojislav Kostunica, i liberaldemocratici di Cedomir Jovanovic, e i liberali di Dinkic. Bassa l'affluenza alle urne, che alla fine è risultata del 53,2%, con un calo rispetto al 57,7% del 2012.
L'obiettivo di Vucic, che per questo ha voluto il voto anticipato di ieri, era quello di capitalizzare i successi raggiunti dal governo di coalizione con i socialisti nell'ultimo anno e mezzo. Prima di tutto il negoziato di adesione della Serbia alla Unione Europea, partito ufficialmente il 21 gennaio, e poi i progressi sul Kosovo grazie al dialogo con le autorità di Pristina mediato da Bruxelles. L'apertura del negoziato per l'adesione all'UE è stata favorita anche dai risultati concreti nella lotta alla corruzione, una delle questioni centrali poste da Bruxelles. Ringraziando i suoi sostenitori per la vittoria, Vucic ha promesso di continuare sulla strada delle riforme e ha anche citato Alcide De Gasperi quando ha affermato di voler lavorare “per le future generazioni e non solo per le prossime elezioni”.
L'ormai prossimo nuovo premier serbo è atteso ora da un compito per niente facile. La situazione economica del paese non è certo incoraggiante: la disoccupazione viaggia oltre il 20%, il debito pubblico è superiore al 60% del pil e il deficit di bilancio si mantiene da alcuni anni al di sopra del 7%. Poi ci sono le riforme che andranno adottate per poter rientrare nei parametri richiesti dall'UE per l'adesione. Le misure da adottare non saranno né poche, né indolori. Infine c'è il Kosovo: le attuali buone relazioni con Pristina, la disponibilità a trattare sulle questioni bilaterali, lasciano ancora però irrisolta la questione del riconoscimento dell'indipendenza della (ex) provincia che Belgrado continua a non voler concedere.
Il giovane futuro premier, dopo aver lasciato, insieme al presidente Nikolic, il Partito radicale serbo, estremista e ultranazionalista, è approdato negli ultimi anni a posizioni conservatrici e moderate, rispettose dell'identità serba, ma apertamente favorevoli all'integrazione europea e a discutere sulla questione del Kosovo. In questo modo ieri è riuscito a capitalizzare i favori degli elettori, raccogliendo le speranze dei cittadini sulle fine della crisi economica, e a battere sia l'opposizione liberale ed europeista di Tadic, Dinkic e Jovanovic, sia il nazionalismo polveroso e inconcludente di Kostunica, dopo che già i radicali turboserbi erano stati ridotti al lumicino nel 2012. Vucic può così godersi la vittoria e offrire al mondo un'immagine della Serbia sempre più lontana da quella legata al regime di Milosevic e ai conflitti degli anni '90. Vucic, per quanto giovane, non è certo di primo pelo. Forse con lui sta nascendo una nuova Serbia. Lo capiremo nei prossimi mesi. Certo da domani inizia il lavoro più difficile.
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