Domenica sera. La pioggia scende costante. Venti gradi fuori, nonostante sia l’inizio di novembre. Quatto lunghi, interminabili giorni di ponte in cui Stefania aveva sperato di potersi rilassare. Ci aveva provato leggendo. Del resto, da un po’ di tempo a quella parte, i libri erano l’unica cosa che le consentisse di attraversare indenne il susseguirsi di giornate sempre uguali a se stesse, ma soprattutto senza alcun tipo di prospettiva, come ormai senza prospettiva era la storia con lui. Aveva letto, dunque, sì. Eppure non era riuscita a staccare la spina dai pensieri che le toglievano il sonno, ma non l’appetito. Proprio come adesso, mentre sta cercando di scrivere qualcosa di sensato per dar vita al secondo libro che intende pubblicare e sta ingurgitando tutto quello che il frigorifero le offre. Senza soluzione di continuità. Ha bisogno di sentirsi piena, di affogare la rabbia e la solitudine che le mozza il respiro e che le fa bruciare gli occhi per il troppo piangere. Ha preso qualche chilo, lo vede, lo sente, non ha bisogno che sia la bilancia a confermarglielo, ne ha fin troppo timore. I fianchi si sono allargati e il seno ha riacquistato almeno una taglia da quando gli attacchi di panico e l’ipocondria le avevano fatto perdere di botto almeno una decina di chili, un paio di anni prima. Ogni giorno si ripromette che cercherà di fare attenzione, di non esagerare con i dolci, di muoversi un po’ di più, ma ogni fine settimana è sempre la stessa storia. Si ingozza e poi piange, ma non vomita, non ci riesce in questi casi. Lo fa solamente quando si sente talmente piena da percepire distintamente i battiti accelerati del proprio cuore proprio lì, all’altezza della bocca dello stomaco. E ha paura, le manca l’aria e sembra che tutto attorno a lei si confonda, il disagio cresce in quei frangenti e allora sa come fare. Due dita in gola. Semplice. E si libera. Vorrebbe liberarsi anche da lui. Sta cercando una maniera semplice, il più possibile rapida e indolore per vomitarlo fuori dalla propria pelle, dalla propria anima, dal cervello in panne… Come si fa ad affrancarsi da un uomo, quello sbagliato, quello egoista, quello immaturo e crudele, che ha fatto degli ultimi anni della tua vita un inferno d’amore? Come ci si libera da qualcosa che ti ha riempito con la violenza di una passione impetuosa, ancestrale, esasperata ed esasperante. Come ci si libera da qualcuno che ti ha svuotato succhiandoti l’anima e prosciugandoti i pensieri? Si può essere pieni e allo stesso tempo vuoti? È quello che sente Stefania, tutta la storia con lui è uno stillicidio di sensazioni antitetiche. Ha bisogno di annullare i due poli estremi per questo, convinta del fatto che il vuoto fagociti il pieno, cerca di riempirlo con il cibo. Pieno contro pieno. Da ieri sera, poi, l’urgenza è, se possibile, ancora più dolorosa. Lui non c’è più. Lui non vuole esserci. Ha già dato. Non vuole più catene e vincoli. Non riesce a spezzare neanche quelli che lo tengono nella gabbia di un rapporto logoro e consunto da troppo tempo e non vuole più rischiare. Non vuole provare ad essere felice. Nonostante questo, però, lui l’ha tenuta al guinzaglio dei suoi sbalzi umorali per anni, allontanandola, cercandola, riprendendosela, per poi ricacciarla all’angolo della sua esistenza. Del resto, il destino delle amanti non può essere che questo. Ci si illude di rappresentare il nuovo baricentro di un universo che ha manifestato tutta la propria fallimentarietà, ma ci si ritrova, in realtà, ad occuparne semplicemente le zone in ombra, con la speranza, sempre disattesa, di fare luce. Anche Stefania ha pianificato, per anni, le proprie giornate, i propri fine settimana, le proprie notti, il proprio futuro con lui, per incastrarlo con quella parte della sua vita che esisteva a prescindere da loro. Il figlio di lui. Lo avrebbe amato. Anzi, lo aveva amato sin dal principio, pur sapendo che la sua venuta al mondo avrebbe cambiato tutto. I loro incontri clandestini avrebbero dovuto fare i conti con il peso dei sensi di colpa e della vergogna. Per un po’ era stato così. Poi, però, l’amore, o tutto quello che di più simile li aveva legati, e anche allontanati, era andato avanti, così come le illusioni costruite sull’ipotesi di un futuro assieme, alla luce del sole.
Ieri sera, invece, il freddo. Come quello che sente in questo momento mentre cerca di far parlare la protagonista del nuovo romanzo, che spera di trovare conforto nel lavoro a maglia per dare ordine ai proprio pensieri. Ci aveva provato anche lei, qualche tempo prima, a concentrarsi sul lavoro manuale per cacciare dalla mente ciò che le mani di lui facevano dentro di lei, su di lei e con lei. Tutto inutile. Come i tentativi che aveva messo in atto ogni volta che aveva cercato disperatamente di riprendersi la propria esistenza. E anche la propria dignità, direbbe qualcuno. Lei, però, non sentiva di averla persa. Perché lo amava. E quando si ama tutto il resto non conta. Certo, adesso avrebbe dovuto raccogliere i cocci, per l’ennesima volta, e non era sicura che in questa occasione, dopo le urla e le recriminazioni, un banale pezzo di scotch sarebbe stato sufficiente. Già quelli che aveva utilizzato stavano cominciando a cedere e le crepe del loro rapporto si stavano allargando paurosamente.
Non si sono sentiti affatto oggi e Stefania è stanca, non riesce neanche più a piangere.
Il suo è un vuoto a perdere.