Anno: 2011
Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Italia
Durata: 146′
Genere: Drammatico/Guerra
Nazionalità: USA
Regia: Steven Spielberg
Dopo Schindler’s list-La lista di Schindler e Salvate il soldato Ryan, il Re Mida di Hollywood Steven Spielberg torna a parlare di orrori di guerra con una vicenda che, tratta dal romanzo War horse di Michael Molpurgo, si svolge nel 1913.
È la storia del cavallo Joey, che, nato nelle terre irlandesi e cresciuto da una famiglia di agricoltori, è destinato a vivere un’avventura all’insegna della speranza, in fuga tra diversi luoghi del mondo e passando di padrone in padrone, sullo sfondo della Prima Guerra Mondiale.
Conoscendo bene l’autore di E.T-L’extraterrestre, quando si tratta di raccontare storie ai limiti del classicismo, possiamo tranquillamente affermare che War horse, forse, arrivi a toccare i suoi punti più alti di retorica antibellica; esageratamente infarcito di scene cult (l’incontro tra il tedesco e l’irlandese in mezzo alle due trincee, finale e pre-finale) proprio per poter accedere ai limiti del favolistico, pur rimanendo, invece, in un contesto realistico. Mossa molto più azzardata di quello che sembra, in quanto neppure priva di simbolismi spiccioli e valori familiari a lui molto cari; senza dimenticare l’amore per il cinema che, nel corso delle due ore e oltre di visione, non passa inosservato.
Infatti, è impossibile non scorgere una certa influenza da John Ford e da tanta produzione di celluloide degli anni Quaranta (tornano in mente film come Il cucciolo e Gran premio), oltre a riferimenti a capisaldi del calibro di Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick e La grande guerra di Mario Monicelli.
Joey, tra cannoni che sparano e fischi di pallottole nel cielo, corre all’insegna della speranza per lui e i suoi amici e la sagra del sentimentalismo sfrenato su tutti i fronti avanza, sia nei ranghi del racconto che nella citata passione cinematografica manifestata, tanto da rischiare di rendere stucchevole l’insieme.
Ma Spielberg, si sa, è fatto così, e la sua professionalità nell’utilizzare la macchina da presa (fenomenale la fotografia del fido Janusz Kaminski) spinge a perdonare ogni eccesso.
Anche se la scelta di far parlare tutti i personaggi nella stessa lingua (l’inglese), che si tratti di irlandesi, tedeschi o francesi, rimane difficile da digerire.
Mirko Lomuscio
Scritto da Redazione il feb 10 2012. Registrato sotto IN SALA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione