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Deve averlo pensato anche Gavin O’Connor, dato che il suo nome in “Warrior” compare sin dal soggetto (scritto insieme a Cliff Dorfman), proseguendo nella sceneggiatura (scritta sempre con Cliff Dorfman e Anthony Tambakis) e arrivando fino alla regia. Una presenza regolare in un progetto seguito dalla fase embrionale fino allo sviluppo finale, e che ha portato, senza ombra di dubbio, a degli enormi frutti.
E’ irrilevante chiedersi se sia stato o meno il fenomeno “The Fighter” a ispirare la storia di “Warrior”, o magari il ritorno al successo di un genere che da anni sembrava essere andato leggermente sepolto mentre ora è prepotentemente tornato di moda, perché di fronte alla qualità tutti i discorsi effimeri passano velocemente in secondo piano. La storia struggente della famiglia Conlon è una delle drammatizzazioni migliori portate sul grande schermo negli ultimi anni. La pena, il dolore, l’adrenalina e il coinvolgimento emotivo che O’Connor trasmette con la sua gestione perfetta della narrazione fanno del film una macchina a orologeria impeccabile, in grado di non lasciare mai un centimetro di stacco allo spettatore e tenendolo incollato alla vicenda per l'intera visione di ben due ore e venti di proiezione.
Rimanendo in tema "The Fighter", c'è da dire che anche in questo frangente a fare da cardine nella storia c’è un conflitto familiare, quello di un padre ex alcolizzato (interpretato magnificamente da un grande Nick Nolte) che prova a recuperare il rapporto con entrambi i figli da anni allontanatisi da lui. Anche loro, però, non si parlano da tempo. Tutto a causa della scelta di Brendan (Joel Edgerton) di non aver seguito il fratello Tommy (Tom Hardy) quando questo da piccolo decise di fuggire con la madre (in seguito deceduta) per salvarla dalle violente mani del padre. Ma a fare incrociare forzatamente le loro strade ci penserà “Sparta”, il torneo di arti marziali miste al quale sia Brendan che Tommy decideranno di partecipare per tentare di risolvere i loro problemi economici ma che probabilmente diventerà anche l'unica possibilità per sistemare le loro grosse opposizioni.
Ecco, se c'è un’altra cosa irrilevante in “Warrior” è conoscere anticipatamente o meno lo svolgimento della storia. Se avete avuto l'opportunità di vedere il trailer, avrete fatto caso che questa è praticamente raccolta tutta al suo interno. Chiara e scontata. Perché non è importante sapere chi vincerà il torneo e chi no a fare della pellicola la sorta di capolavoro oggettivo che è, ma sono il carico di emozioni che questa riesce a smuovere nello spettatore nel corso del suo cammino, minuto dopo minuto, scena dopo scena, i concreti punti di forza.
Il filo più drammatico del racconto, quello che racconta il conflitto fraterno misto a quello paterno, copre la totale superficie della narrazione, dimostrandosi elemento di maggiore interesse del suo regista. Ma i fanatici del testosterone avranno comunque modo e maniera di rifarsi ampiamente, godendosi gli ultimi quaranta minuti (circa) finali dove i combattimenti senza esclusioni di colpi diventeranno i protagonisti assoluti che ci accompagneranno verso un finale pregevole e profondamente toccante.
Costruito a pennello sulla superficie muscolosa di due protagonisti bravissimi a fornire la recitazione fisica adeguata all'ossatura della storia, diversificati in scena attraverso il netto contrasto con cui scelgono di affrontare combattimenti e avversari, il film di David O'Connor, con grande intelligenza e astuzia, entra di diritto tra i migliori dell'anno, portando a casa il pregio di essere uno dei pochi a fare incollare i nostri occhi allo schermo prima e a portarsi dietro anche tutto il resto del corpo poi.
Trailer:
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