Wayward Pines non è stata una semplice serie televisiva su una cittadina dai mille misteri. Ma una scelta azzeccata, una rivelazione.
Ci ha intrigato, appassionato e poi spiazzato.
Ebbene si! Perché a metà stagione abbiamo avuto un colpo di scena che, forse esagerando, possiamo dire abbia cambiato il genere della serie.
Wayward Pines è tratto dai romanzi di Blake Crouch, e lo stile della serie è dichiaratamente (affermato dagli stessi produttori) ispirato a “I segreti di Twin Peaks”, del 1990 di David Lynch.
Lo sceneggiatore Chad Hodge ha proposto il progetto a quel pazzoide visionario di M. Night Shyamalan, regista di The Village, Signs e vari film del genere. Che, entusiasta del progetto, ha diretto il pilot ed è stato produttore esecutivo della serie.
La trama è semplice, l’agente governativo Ethan Burke ,alla ricerca di due colleghi scomparsi, si ritrova nella cittadina di Wayward Pines, ma con un problema: non può più andarsene.
La gente del posto è indifferente alla sua volontà di lasciare la cittadina e quando ci prova… beh, sapete già cos’ha affrontato.
Non immaginando le pieghe contorte che avrebbe preso la serie più in là,ci siamo imbattuti in un mistero irrisolvibile, che ha messo a dura prova la mia (alcuni dicono non molto sagace) intelligenza.
Gli enigmi erano diventati troppi per le nostre menti.
Perché diavolo Ethan non può andarsene? Cos’ha questa cittadina così conformista e dalle leggi dittatoriali? Come spiegare il mistero del tempo (anni addirittura) passato da Kate Ballinger nella cittadina se Ethan l’ha vista recentemente? Cosa nasconde il misterioso Dr. Jenkins?
Ma soprattutto, perché lo sceriffo Pope è così stro…?
Tutti questi interrogativi inizialmente avevano portato molti di noi ad una sola soluzione. Cioè un’instabilità mentale di Ethan, il che avrebbe spiegato anche la storia delle sue passate allucinazioni.
E invece no! Le puntate “La verità” e “Scelte” (la 5 e la 6) ci hanno letteralmente abbattuto.
Ci troviamo infatti nell’anno 4028, la razza umana si è estinta e trasformata in aberrazioni (per i nostalgici useremo il dolcissimo appellativo di “abi”).
E tutti coloro che si trovano a Wayward Pines sono stati ibernati e risvegliati dal dottor Jenkins, in una cittadina dove i ragazzi (la prima generazione) vengono preparati a ripopolare il pianeta e gli adulti sono tenuti all’oscuro di tutto.
Ovviamente, come sappiamo, il ruolo di Ethan, affidatogli dal dottor Jenkins stesso, è quello di tenere a bada e amministrare una cittadina ignara dell’orrore al di là della recinzione.
Il non riuscirci porta il dottore alla decisione di sterminare l’attuale popolazione e risvegliare altri ibernati per ricominciare. Viene però fermato dallo stesso Ethan, che si sacrifica.
Il figlio di Ethan, Ben, si risveglia però tre anni dopo e si ritrova in una Wayward Pines al riparo dagli abi ma con i suoi coetanei al potere, il che ci ha fatto rimanere in lutto per giorni, pensando alla povera fine riservata al popolo (gli adulti) di Wayward Pines.
Partito come un misterioso giallo, Wayward Pines ci ha trasportato nel mondo futuristico della fantascienza, avvicinandosi di parecchio a serie come The Walking Dead o The Strain.
Non c’è che dire, l’epidemia stermina-mondo attizza parecchio.
Ma l’ha fatto con un’intelligenza e un’arguzia ammirabili.
Perché se nei format prima citati si capisce subito dove si voglia andare a parare, qui c’è un senso di mistero che immerge totalmente lo spettatore, almeno fino a metà stagione.
Unica pecca? Dura poco.
Le 10 puntate ci lasciano con l’amaro in bocca e molti fans, come il sottoscritto, pensano che la serie avrebbe potuto meglio diluire i romanzi in più stagioni, magari terminando la prima con gli avvenimenti del quinto episodio.
Molto probabilmente la serie (pubblicizzata in pompa magna) era predestinata a vita breve, oppure non ha avuto l’exploit che i produttori, giustamente, attendevano.
Fatto sta che lo smarrimento rimane.
Per i lettori dei romanzi (io purtoppo non faccio ancora parte di questa cerchia) le differenze più evidenti che la serie ha apportato alla sceneggiatura sono state l’idea della “prima generazione” nella serie, e un finale più eclatante e anche più terribile.
Ovviamente i gusti sono gusti, e giustamente non a tutti può piacere questa serie.
Ma indiscutibile è la qualità del prodotto, che ha avuto man forte da un cast di tutto il rispetto. Capitanato da Matt Dillon, che non sarà Al Pacino a livello espressivo, ma che nel ruolo era molto azzeccato. Volti noti anche Carla Gugino (Sin City), Toby Jones (Iron Man) e il premio Oscar per The Fighter, Melissa Leo.
Non c’è che dire, Wayward Pines é finito poco fa ma già ci manca. Per dieci episodi siamo stati trasportati in un’altra realtà, dimenticandoci perfino di andare a mangiare.
Ovviamente alla fine siamo stati indotti a credere in un lieto fine, per poi soccombere al cosiddetto “finale del cavolo” come i cari Lost e Dexter, per fare due nomi.
Da Wayward Pines è tutto, ma mi raccomando, se squilla il telefono: rispondete!