Magazine Cinema
di Lakas Moodysson
con David Dencik, Mira Barkhammar, Mira Grosin, Liv LeMoyene
Svezia, 2013
genere, drammatico
durata, 102'
Le vie del cinema sono infinite, e così, un pò per caso, un pò per motivi di strategia commerciale può capitare che il lavoro di certi registi venga valorizzato più di altri. E ancora, che un autore si ritrovi pressoché da solo a rappresentare la cinematografia di un'intera nazione. Se consideriamo il numero di film svedesi distribuiti in Italia in un arco di tempo relativamente breve - circa 15 anni- e facciamo la conta dei nomi che li hanno realizzati, non c'è dubbio che Lukas Moodysson rappresenti senza dubbio il capofila di un cinema che una volta esportava opere di un maestro come Ingmar Bergman, e che oggi è costretto a consolarsi con inquietudini di cui riesce persino a sorridere. Perchè non c'è dubbio che sotto le volte di un cinema anticonformista e ribelle ("Fucking Amal", "Togheter") si riesca anche a sorridere, o per lo meno si sia spinti a farlo, assistendo al caos organizzato che Moodysson prima fa esplodere, con tutte le turbolenze del caso, e poi cerca di contenere all'interno di una forma di cinema conosciuta e rassicurante. Come accade in "We Are the Best", storia d'adolescenze inquiete ambientata nella Stoccolma del 1982, periodo storico che musicalmente parlando vede gli ultimi scampoli del movimento Punk, replicato dalle note strimpellate della band musicale che le ragazzine decidono di mettere in piedi per fuggire alle rispettive insoddisfazioni esistenziali. Il problema è che Bobo e Klara non hanno mai suonato uno strumento musicale, e che la loro amicizia è messa a rischio dall'entrata in scena di Ilis, rockettaro di cui entrambe sono destinate a innamorarsi.
Trasposizione dell'omonima graphic novel firmata dalla moglie del regista, "We Are The Best" è il film che sancisce il ritorno in patria di Moodysson, dopo la parentesi americana di "Mammoth", con la conseguente ripresa di temi e stilemi che avevano caratterizzato i lavori più importanti, e cioè: l'adozione di un punto di vista adolescenziale e femminile, qui accentuato dal forte impatto del look scelto per le tre protagoniste, la presenza di una matrice ribelle e antisociale, manifestata con scelte fuori dalla norma (qui è il punk a fungere da elemento di rottura), ma soprattutto la critica verso il mondo degli adulti, fallimentare tanto nell'applicazione delle consuetudini borghesi, quanto di quelle di matrice progressista e sessantottina, parimenti sbeffeggiate nelle scene di vita familiare, inflazionate, come al solito nei film film di Moodysson, dalla mancanza di figure di riferimento. In questo "We Are The Best" è addirittura paradigmatico nel presentarci genitori incapaci di prendersi cura di se stessi e dei propri figli: per troppo egoismo, come succede alla mamma di Bobo, single distratta dall'altalenanza delle vicissutidini sentimentali, o per eccesso di superficialità, come capita al padre di Klara che si rapporta alla figlia alla maniera di un coetaneo o di un fratello maggiore. Il regista svedese filma con sveltezza e linearità, affidandosi a uno stile che, senza ambire a pretese di tipo documentaristico (ma talvolta si ha la sensazione di una messinscena rubata alla realtà) si mantiene attaccatto alla realtà, fornendo alla storia un corrispettivo di credibilità che allontana il film dai rischi del birignao giovanilista. Così, se è vero che la maggior parte delle questioni - per esempio il litigio scoppiato a seguito della contesa amorosa - vengono risolte all'insegna di una sfrontatezza che rasenta l'inconsistenza, e che la musica è solo un modo per fornire la cornice di simpatica "anarchia" entro cui si svolge la storia, "We Are The Best" ha anche momenti di puro cinema quando guarda in faccia le angosce e le tenerezze delle sue giovani protagoniste e, in special modo, di Bobo (Mira Barkhammar bravissima come le sue colleghe), capelli corti e occhialini da intellettuale moscovita; oppure nelle scene iniziali, quando il film deve ancora formarsi, in cui Moodysson per fissare l'insofferenza e il senso di claustrofobia della sua protagonista, c'è la mostra chiusa all'interno di una cornice umana (prima gli amici della madre, poi i compagni di scuola) che le toglie ogni spazio, e da cui non può fare altro che ritrarsi. Sintesi efficace di un film che si lascia vedere per quello che è: intrattenimento che diverte e non mortifica. (pubblicata su ondacinema.it)
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