La spiegazione più sofisticata è ovviamente quella della tradizione cristiana, che identifica questa famosa data con la nascita a Betlemme del piccolo Gesù, figlio di Dio e di Maria, da essi concepito per virtù dello Spirito Santo. Da qui il termine “Natale”, dal latino natalis: “relativo alla nascita”.
Una seconda versione deriva dalla tradizione pagana: al tempo dei Romani, il 19 o il 21 dicembre (date vicine al solstizio d’inverno) si svolgeva la festa della nascita del sole: il Dies Natalis Solis Invicti; i cristiani avrebbero poi sostituito la festa della nascita del sole con la festa della nascita di Cristo, spostando la data al 25 dicembre.
La terza interpretazione si basa sull’idea che, come per la Pasqua e la Pentecoste, derivate dalla tradizione ebraica, anche la data del Natale abbia un’origine simile: esso corrisponderebbe alla festività ebraica dell’Hanukkah (festa della luce), che si tiene proprio alla fine di dicembre.
Ma… oggi che cos’è questa data? Cos’è diventato il Natale?
Il Natale è la festa più popolarmente sentita da cristiani e non cristiani, è scambio di doni, è opulenza, è Babbo Natale. Natale dunque – non è una sorpresa per nessuno – non si chiama più fede, non si chiama più generosità e neanche famiglia; che è invece quello che il papa tenta ogni anno di ficcarci in testa in 3 lingue (italiano, papalingua, spagnolo) dalla finestra bardata di rosso.
Il nostro è un Santa Claus élitario e razzista che esiste solo per i ricchi, un Natale buonista-per-finta che appanna ore e giorni con lucine-succhia-piccioli e caldo grigiastro, alla faccia della neve e del rosso.
Il Natale occidentale è semplicemente il “via allo sclero“: “l’umanità intera sembra strisciare sotto un gigantesco pacco regalo” (D. Pennac) e tutti NON sono più buoni: al contrario, sono gollum cannibali che spendono soldi mentre pregano – gli ipocriti – e per due giorni all’anno si sentono i Padre Pio e Madre Teresa delle case con le pompe di calore, i savi dispensatori di santi consigli a noi giovani scapestrati: devi fare così, Gesù nasce e dice colì, la famiglia è cosà e allora dovevi fare colà, bisogna perdonare, essere buoni come il bue e l’asinello, come quei masochisti dei re Magi.
Sulla mia città, come penso in moltissime altre, aleggia un coacervo di elementi isterico-depressivi in mezzo ai quali la mia lista dei vaporizzandi si allunga ogni giorno di più.
Penso che l’unica speranza di vera redenzione, di rinnovamento per l’Italia e per gli italiani, fosse che Silvio cadesse sotto il vischio. Azzik, fallito: noi gelavamo preganti in un corteo speranzoso molto simile ad una via crucis, mentre lui assoldava troll da combattimento (La Russa), nani fascisti (Brunetta), orchi mangiacomunisti (Alfano), draghi sputa-veleno-destrista (Gasparri)… per metterla nel C*** a quei pochi individui cui le sue armi di distruzione di massa (Mediaset) non abbiano annientato il lume della ragione. Alla faccia dell’amore sotto il vischio.
E allora che cosa ci rimane in questo Natale?
Tacchini ripieni, capretti uccisi e glassati, pance gonfie e bebè obesi ficcati a forza in passeggini chic spinti tra le viuzze illuminate dei nuovissimi centri commerciali della provincia palermitana.
Più in su, rimane la Gelmini che brama di masticare il nostro futuro come un biscotto alla panna nel the. A livello europeo, resta “la malattia dell’occidente”, che si espande come lebbra endemica, privandoci della pelle, del concetto di futuro, di quello di lavoro, dei concetti centrali e rassicuranti di una vita. Rendendoci esseri alienati privi di speranze concrete.
Purtroppo, Gesù è troppo piccolo, miracoli non ne fa ancora il 24-25 dicembre, il Natale non può salvarci.
Così, chi può, riempie i lettini degli analisti, chi non può si riempie di cibo. E la festa dell’apparenza va avanti.
Intanto, però, i più non sentono nessun Natale, a quanto pare quest’anno; né dentro, né fuori. Anche gli psicanalisti confermano che i loro pazienti sono affetti da apatia natalizia, da indifferenza-da-25-dicembre e da una mera sensazione di dovere verso lo scambio dei doni.
Rimane poco, è così, bisogna affrontarlo.
E in questo poco, il groppone più vero sono quei comportamenti “veri di vero Natale“: quello che non esiste più, che di vero ha solo il quotidiano individualismo, il terrore della crisi divorante, il cibo fastoso e il regalo omologato del centro commerciale, ma non l’umanità di aprire a due ragazze che dormono sul pianerottolo gelido di un palazzo perché la chiave di casa si è rotta.
Così, con l’umano egoismo, è iniziato il mio Natale l’anno scorso, mentre le escort a villa Grazioli erano vestite da Babbo Nataline.
Quest’anno, anch’io sono dentro quella maggioranza che non prova nulla, che non ricorda più l’emozione del Natale. Ma forse non è così strano che accada.
Bisognerebbe farsi un po’ di domande, guardarsi per bene intorno, per capire perché quest’anno nell’aria non si percepisce alcuna festa: perché troppo spesso “l’uomo è la fogna dell’universo” (C. Bukowski), anche a Natale, anche mentre Gesù emette il primo vagito nelle teste allucinate di chi ancora riesce a credersi cristiano in mezzo alle nostre umane, debordanti, immondizie mentali e materiali.