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Web Politics 2.0: una prospettiva critica

Creato il 09 settembre 2011 da Davide

Tutto questo stupor riguardo la politica 2.0 ovvero la politica “digitale” è estremamente interessante (lo stupore, non la politica) perché manifesta lo stato di arretratezza, quando non di sentimento reazionario e totalitario, dei “progressisti”. Lo stupore rispetto alla politica 2.0 è un esempio classico del come i cambiamenti sociali e politici seguano con molto ritardo (decenni se non addirittura secoli) il mutamento economico.

La fabbrica fordista è diventata obsoleta negli anni ’70, sostituita dal toyotismo, a sua volta superato oggi dalla learning economy, ma la politica e la società italiana ed europea (soprattutto) sono ancora legate a modelli fordisti e controllate da personaggi politici ancorati ai primi anni 1970. Anche i giovani, avendo fatto le scuole quadri e la gavetta nei partiti fordisti, sono più vecchi di Matusalemme in economia e in sociologia. E’ evidente dal loro stupore che essi sono affetti da quella malattia senile chiamata anche totalitarismo (vista l’età, un fatto comprensibile) per cui per controllare una società (sia in economia che in politica e sociologia) occorre possedere il 100% delle azioni. Solo chi ha questa visione sovietica del controllo può vedere nella politica 2.0 qualcosa di nuovo, rivoluzionario e refreshing. Questi signori hanno ancora il concetto della fabbrica fordista (“ognuno può avere una Model T del colore che preferisce purché questo sia il nero“) e pertanto si rifanno ai modelli di controllo sociale che di quel modo di produzione furono figli degeneri il comunismo sovietico e (in parte) il nazismo. Come sia finito il socialismo sovietico, almeno in economia, è storia nota: imploso come una mela marcia su se stesso. Tuttavia la Cina (paese ancora comunista) impone ancora gli imprenditori, che vogliano investire e impiantare fabbriche colà, una cogestione con una azienda cinese che detiene il 51% delle azioni. Ragazzi, in Cina almeno un passo avanti lo hanno fatto dal 100% al 51%!  A voler essere MOLTO cattivi, come può essere credibile la proposta economica di DS e sinistre che provengono da due tradizioni economiche fallimentari come il comunismo sovietico e le missioni cattoliche (modelli ottimi e di gran profitto per chiesa/partito, ma tragici per i governati).
Più duro a morire del modello economico è il modello di controllo sociale e politico che la struttura comunista sovietica proponeva. Qui in Italia il sistema “le vite degli altri”, per citare il famoso film sulla Stasi, va ancora  fortissimo. Un esempio per tutti il “Giro della Padania”, un esempio marxiano del fatto che la storia si ripete due volte, la prima volta in tragedia, la seconda in farsa: dall’assalto al Palazzo d’Inverno all’assalto al Giro della Padania. Ovvero dalle stelle alle stalle – senza offesa per i ciclisti che sono il danno collaterale di turno, poveri loro! Un tipico esempio di come il voler controllare il 100% della vita e delle anime delle persone dia i frutti sbagliati. Il suddetto Giro sarebbe passato totalmente sotto silenzio presso la maggior parte degli italiani e solo i fanatici di ciclismo lo avrebbero seguito, per amore del loro campione e non perché “padani”, con le contestazioni ora tutti sanno che esiste la Padania (eterogenesi dei fini).
Tra l’altro, nota per i naviganti, in periodo di 150esimo dell’Unità di Italia, ho notato con delizioso raccapriccio che questa volta NESSUNO ha citato l’immortale frase di Metternich “L’Italia è solo un’espressione geografica“, che invece fu il leit-motiv delle celebrazioni dei 100 anni dell’unità nel 1960 e che era un must a scuola quando si faceva il Congresso di Vienna. Poiché la stessa espressione è stata (infelicemente? ignorantemente? ai posteri l’ardua sentenza) usata da molti esponenti dei DS, è evidente che essi sono rimasti al 100% del controllo e non capiscono che, in democrazia, il nominalismo è politicamente pericoloso.
E veniamo al dunque, in democrazia e nel capitalismo, non occorre affatto avere il controllo del 100% delle azioni (politiche o economiche che siano), ne basta il 10% o addirittura il 4% in casi estremi. E qui viene la politica 2.0, un perfetto esempio di toyotismo applicato alla politica. Punto chiave del toyotismo è l’eliminazione di ogni tipo di muda(spreco). Il toyotismo considera 8 tipi di spreco: 1) over- production (sovra-produzione), 2) motion (movimenti / spostamenti dell’operatore), 3) waiting (attesa/tempi morti), 4) conveyance (trasporto), 5) processing itself (il processo di lavorazione di per sé) 6) inventory (giacenza), 7) correction (ri-lavorazione e scarti), 8.) unused creativity (creatività inutilizzata). In particolare il punto 8 è quello che più ha caratterizzato “socialmente” il toyotismo: la capacità di valorizzare le idee migliorative e/o le capacità degli operatori, quello che in altri tempi si sarebbe detto la capacità di usare la “scienza operaia”. Per eliminare i muda>/I>, gli sprechi, secondo la filosofia toyotista bisogna procedere con un miglioramento continuo a piccoli passi (Kaizen). Vi ricorda qualcosa? a mio parere la politica 2.0 è una politica fondalmentalmente toyotista e infatti si fonda sui social network e la rete (inventata dal Pentagono, non dimentichiamolo) dove i dirigenti (Google, Fb, Twitter, Apple) detengono il controllo assoluto della unused creativity, la creatività inutilizzata degli operatori ovvero gli utenti coatti di iphone, facebook, twitter etc. Siamo ben lontani dalla learning society (l’attuale modo di produzione capitalistico) dove la conoscenza è la risorsa cruciale e l’apprendimento il processo più importante. Va tuttavia notato che la learning economy non si basa, come ipotizzato negli anni ’90 prima della bolla del NASDAQ o della new-economy, sulla produzione di merci immateriali, non è affatto astratta, ma assolutamente concreta, basata sulla produzione di quei manufatti fisici che sostengono il “lavoro” immateriale, ovvero microprocessori, industria aerospaziale, industria biotecnologica, industria farmaceutica e di beni sanitario-ospedalieri,  energie alternative, ecc. Tutti manufatti che richiedono una capacità di apprendimento in “scienze dure” da paura e per la produzione di questi manufatti si combattono già guerre nel senso letterale e sanguinoso del termine.
Quello che più mi spaventa nella politica 2.0 è che essa aumenta invece che restringere il famoso “digital divide“. Osservando i giovani e i politici che vorrebbero rottamare i vecchi leader fordisti, mi vengono in mente i giovani fondamentalisti islamici in Yemen e in Libano che, fino a pochi anni fa, ricevevano il loro indottrinamento via audiocassetta perché erano analfabeti. Oggi riceveranno la propaganda via iPhone o Internet (primavera araba docet), ma il problema resta: sono analfabeti, dunque esclusi dalla società che sta formandosi. Quanti giovani italiani ed europei si trovano nella stessa situazione? ovvero analfabeti inutili per la learning economy? quanti giocherellano con gli aggeggi preferiti della politica 2.0, ma restano analfabeti pilotati dall’alto, in questo caso dai Big Brothers, ovvero Apple, Google, Fb, Twitter etc?, quanti di fatto affermano, “lo so usare, ma non so come funziona”? persino Ford su questo si girerebbe nella tomba.


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